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Discorsi Divini di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

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discorsi:1970:197011

197011?? - ?? Novembre

Discorso Divino di Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba

Abbondanza di Grazia

[1] I Veda, che sono le più antiche Scritture, hanno stabilito che l’uomo debba utilizzare i doni straordinari che Dio gli ha elargito: ovvero l’intelligenza capace di guardare al futuro e di decidere cosa sia proficuo a lungo termine, e la capacità di evitare soddisfazioni passeggere e di conseguire la gioia imperitura della beatitudine eterna. Il rito sacrificale di sette giorni, dedicato allo Spirito Supremo dei Veda, è chiamato Vedapurusha Saptaha Yajña. Il Vedapurusha deve essere propiziato attraverso l’adorazione delle Divinità vediche, in particolare modo del Sole e del Fuoco, vale a dire mediante il ‘Saluto al Sole’ (Namaskār) e le offerte di burro chiarificato versato nel Fuoco sacro. Ogni giorno, durante il rito, si adora Rudra rendendo culto ai mille Lingam; l’aspetto di Madre della Divinità viene venerato durante Navarātrī con l’esecuzione attenta e corretta di vari riti e offerte, mentre i bramini recitano i Veda con esattezza sillabica, così come erano recitati secoli e millenni fa sulle rive dei fiumi Sarasvatī o Yamunā dagli umili saggi di Āryāvarta. In tal modo chi li recita, chi venera, chi officia, chi ascolta e tutti i partecipanti che vibrano per la santità del luogo, sono colmati di beatitudine e pace, ovunque essi siano.

[2] Il termine Yajña significa sacrificio; i mantra ne sottolineano l’importanza, i rituali ne sono il simbolo, mentre il ‘Saluto al Sole’ (Namaskār) è l’atto culminante che lo onora. In verità, la vita è il sacrificio di una parte della sua durata al Sole, di una parte del proprio tempo, delle proprie forze e attenzioni in favore di qualcuno o qualcosa, in ogni istante. Non può esserci progresso senza sacrificio. Il sacrificio mantiene l’ordine dell’Universo. Il sacrificio compiace le Divinità, le quali mandano la pioggia; la pioggia fa crescere il raccolto da cui si ricavano abbondanti messi che rinforzano le membra del corpo, ampliano le vedute, espandono il cuore e illuminano la visione, finché l’uomo non avrà raggiunto il traguardo dove non ci sarà più lotta né morte. Il più sublime e proficuo sacrificio è quello del proprio ego. Crocifiggetelo e sarete liberi, offritelo a Dio e sarete ricchi al di là di ogni immaginazione. Preparatevi a raggiungere questo stato supremo impegnandovi in azioni sacre, ovvero in attività che siano purificate nel crogiolo del Dharma; così raggiungerete il Brahman, l’Uno Indivisibile e Assoluto, che ‘appare’ come questo multiforme Universo.

[3] Il poema epico Mahābhārata merita di essere riverito come i Veda, infatti chi lo conosce lo venera come il quinto Veda. Qui troviamo il maggiore dei fratelli Pāndava, Dharmarāja, che significa ‘re del Dharma’; il suo successo però era dovuto al fatto che aveva alla sua destra Bhīma, incarnazione della forza, e alla sua sinistra Arjuna, eroe di pura e immacolata virtù. La forza che deriva dal controllo dei sensi, come pure la forza d’animo e l’equanimità che si ottengono grazie alla conquista degli impulsi, delle emozioni e delle passioni, danno preziosa forza al Dharma per ascendere alle vette del Brahman. I Veda hanno stabilito cinque stadi per consentire all’uomo di coltivare lo spirito di sacrificio: Deva yajña (venerare Dio sugli altari domestici), Pitra yajña (ricordare il debito che abbiamo nei confronti dei genitori che ci hanno dato il corpo e hanno nutrito la fiamma della vita), Manushya yajña (provvedere agli ospiti e a chi cerca cibo e rifugio), Brahma yajña (lo studio dei testi sacri e l’iniziazione al sentiero spirituale), Bhūta yajña (prendersi cura degli animali domestici, del bestiame, di cavalli, pecore e cani che sono gli aiutanti e i compagni dell’uomo). I Veda insistono affinché ogni capofamiglia svolga questi cinque riti ogni giorno; in tal modo egli sarà incoraggiato a percorrere il sentiero della dedizione e a raggiungere l’obiettivo della resa totale a Dio. Pur mangiando solo erba e bevendo quello che per l’uomo sarebbe imbevibile, la mucca gli dona il latte, il burro, lo yogurt, tutte sostanze nutritive preziose; in cambio delle cure e delle attenzioni che riceve, la mucca produce il latte che sostiene la vita e dà vigore. La gratitudine esige che l’uomo non la trascuri né la ferisca. Allo stesso modo, l’uomo non deve permettere che le piante e gli alberi da lui coltivati soffrano la fame e la sete, che appassiscano e secchino. Avrete notato che molti depongono zucchero o farina vicino all’ingresso dei formicai; questo fa parte del Bhūta yajña, come la cura del bestiame, anche se chi compie tali atti non riceve immediata ricompensa. La scintilla della compassione universale deve caratterizzare il cuore dell’uomo!

[4] Non attribuite grande importanza ai nomi e alle forme, transitori ed insignificanti, che sono incarnati dallo Spirito Divino; così le distinzioni fra un verme ed un lupo, fra un atomo ed un Avatār scompariranno e acquisirete la consapevolezza che la Verità fondamentale è l’Uno. Le Upanishad asseriscono che la creazione o manifestazione, lo sbocciare dell’espansione ebbe inizio quando l’Uno lo volle:

Ekoham bahusyām
Sono Uno. Che Io divenga i molti.

L’Uno è tutto questo [universo]. È il numero uno che attribuisce valore e validità agli zero che lo seguono! Realizzare la funzione dell’Uno e ignorare tutti gli zero che vengono dopo è l’obiettivo e la meta di ogni sforzo umano. Quando la mente sarà calma e imperturbata e l’intelletto acuto, questa realizzazione avverrà senza ulteriori difficoltà. Attraverso la disciplina del servizio altruistico è possibile riconoscere l’Uno di cui i molti sono apparenze. Chi serve il padrone pensando alla busta paga non può essere chiamato servitore, è solo il servitore della busta paga. Quel genere di servizio lo vincolerà al guadagno o alla perdita che esso implica, e porterà con sé scontento o esultanza. Il servizio deve essere svolto per un supremo senso del dovere o come un’umile offerta dedicata all’Altissimo, con spirito di resa totale alla Volontà di Dio, lasciando alla Sua grazia tutti i pensieri inerenti alle conseguenze. Quando l’attività di servizio è eseguita con motivazioni pure, svilupperà il distacco e non incoraggerà l’incuria o la trasandatezza.

[5] Shiva è elogiato come Triambaka, ‘Colui che ha tre occhi’, che vede il passato, il futuro e il presente; ma i tre occhi rappresentano anche le tre forze: desiderio, attività e conoscenza, cioè quegli impulsi che sollecitano l’uomo e decidono il suo destino. Queste tre forze rendono tutti gli esseri uniti nel legame con il Divino. Coloro che servono il prossimo con amore e riverenza possono entrare in contatto col nucleo dell’Essere e salvarsi, perché in tutti vedranno i riflessi inconfondibili e le immagini del Dio che custodiscono nel cuore. Se desiderate trasformare una statua d’argento di Ganesha in una statua di Krishna non basterà ricoprire l’idolo di Ganesha con una stoffa e toglierla dopo pochi secondi! Dovete rompere la statua in pezzi, fonderli e poi versarli in uno stampo con la forma di Krishna! Analogamente, se desiderate trasformare l’umano in Divino, dovrete demolirne i pezzi mediante il distacco, fonderli nel fuoco della saggezza e versare la sostanza mentale nello stampo della devozione. Allora l’intera consapevolezza assumerà il Nome, la Forma e la Sostanza del Divino, e qualunque cosa che verrà detta, fatta o pensata acquisirà lo splendore e la purezza della Divinità.

[6] Vi ho detto sovente che la Mia vita è il Mio messaggio. Gli Avatār annunciano e manifestano la loro Divinità in tal modo: sono bambini in mezzo ai bambini, uomini in mezzo agli uomini e donne fra le donne per essere partecipi della felicità e della sofferenza, per consolare e infondere fiducia e coraggio ai cuori abbattuti. Gli Avatār appaiono solo tra gli esseri umani, dato che gli uccelli, le bestie e le piante non sono decaduti in uno stato anormale e innaturale. Poiché insegue la chimera della felicità materiale e del piacere sensoriale, solo l’uomo ha dimenticato il compito per cui è sceso sulla terra. Dio assume Forma umana con lo scopo di ripristinare il Dharma e ricondurre l’uomo sulla via della virtù e della saggezza, pertanto nulla può compiacerlo di più della rigorosa osservanza del Dharma. Un uomo riesce a seguire scrupolosamente il sentiero del Dharma solo se è conscio della Divinità presente in tutto ciò che vede, sente, tocca e gusta; tale sentimento andrà a colmare ogni istante della sua vita con l’emozione della realizzazione del Sé. Abbiate fede in Dio; Egli vede tutto, è onnipresente e onnipotente. Quando Draupadī fu trascinata davanti alla corte reale dai Kaurava che minacciavano di disonorarla e la insultavano, la regina non chiamò in soccorso i suoi mariti, che erano Dharmarāja il grande maestro del Dharma, Bhīma il terribile guerriero, Arjuna il valoroso arciere, Sahadeva che conosceva il futuro di tutti e Nakula l’incarnazione del coraggio. La regina pregò e chiese aiuto a Krishna, Signore e Protettore della rettitudine, a Dio che ascolta l’agonia del cuore. Egli è in ogni cuore, è tutto questo; infatti nella Gita ha dichiarato:

Concentra la mente su di Me, siimi devoto, adorami,
prostrati davanti a Me. Così, certamente verrai a Me.
Io te lo prometto perché mi sei caro.
(B.G. 18,65)

Qui, Io e Me si riferiscono all’Io e al Me che sono in ogni essere, ovvero all’Ātma che è il vero Io, sia dell’atomo sia dell’Avatār. Anche una persona che contempla di suicidarsi afferma: “Devo morire per poter essere felice e libero da tutte queste preoccupazioni!” Quell’Io che sarà alleviato dal dolore quando il corpo perirà è l’Ātma, il Sé!

[7] L’Io individuale ritiene di essere limitato, ma è un’illusione. È lo Spirito Universale stesso che immagina di essere limitato. Questa consapevolezza può giungere all’uomo grazie a un lampo di analisi intellettuale o ad un lampo di Amore universale. La consapevolezza è un atto d’identificazione che richiede ed esige Amore. Amore è Dio. Amore è il mezzo, Amore è il fine. Questa è la ragione per cui non ci sono atei, poiché non esiste un essere totalmente privo d’amore per qualcuno o qualcosa. E ogni tipo di amore, in qualunque misura si manifesti, è una scintilla della Divinità. L’Amore non conosce paura, sostiene la Verità, dona la pace, costruisce la fede e favorisce la concordia.

Novembre, 1970

discorsi/1970/197011.txt · Ultima modifica: 2016/07/15 23:05 da sathyamax