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Discorsi Divini di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

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discorsi:2007:20070115

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 Voi dite: “Il tale è un mio buon amico”; ma quanto durerà? Solamente per un periodo; più tardi, se quella persona non presterà attenzione alle vostre parole o rifiuterà di soddisfare le vostre richieste, voi la odierete e diventerete nemici. Dovete davvero essere molto cauti nello sviluppare amicizia con gli altri. In ogni aspetto della vita, il nostro stesso comportamento è una testimonianza delle nostre relazioni interpersonali. Potete risiedere in qualsiasi luogo o andare in qualunque Paese, ma conservate il vostro buon carattere. Rispettate tutti! Amate tutti! Non odiate nessuno. Guadagnatevi un buon nome. Non sono i titoli accademici a procurarci grandezza; quanti Ph.D (persone con il più alto grado accademico) sono oggi a questo mondo? Quante persone che hanno fatto l'I.A.S. (Istituto di Studi Avanzati) sono oggi nel Paese? Il mondo è forse diventato in qualche modo migliore grazie a questa gente? In realtà, è soltanto a causa della cosiddetta gente istruita che il Paese sta perdendo la sua eccellenza. Non occupiamoci dei cosiddetti “grandi”; è sufficiente che le persone si salutino scambievolmente con un: “Namaskâr” e si informino sul reciproco benessere: questa è già di per sé grandezza. Assieme all'istruzione, occorre essere colmi di umiltà e obbedienza. Solamente uno studente di questo tipo è uno studente autentico. Non dovete avere neanche una traccia di ego, di orgoglio, di prosopopea e di altre simili qualità negative.\\ Voi dite: “Il tale è un mio buon amico”; ma quanto durerà? Solamente per un periodo; più tardi, se quella persona non presterà attenzione alle vostre parole o rifiuterà di soddisfare le vostre richieste, voi la odierete e diventerete nemici. Dovete davvero essere molto cauti nello sviluppare amicizia con gli altri. In ogni aspetto della vita, il nostro stesso comportamento è una testimonianza delle nostre relazioni interpersonali. Potete risiedere in qualsiasi luogo o andare in qualunque Paese, ma conservate il vostro buon carattere. Rispettate tutti! Amate tutti! Non odiate nessuno. Guadagnatevi un buon nome. Non sono i titoli accademici a procurarci grandezza; quanti Ph.D (persone con il più alto grado accademico) sono oggi a questo mondo? Quante persone che hanno fatto l'I.A.S. (Istituto di Studi Avanzati) sono oggi nel Paese? Il mondo è forse diventato in qualche modo migliore grazie a questa gente? In realtà, è soltanto a causa della cosiddetta gente istruita che il Paese sta perdendo la sua eccellenza. Non occupiamoci dei cosiddetti “grandi”; è sufficiente che le persone si salutino scambievolmente con un: “Namaskâr” e si informino sul reciproco benessere: questa è già di per sé grandezza. Assieme all'istruzione, occorre essere colmi di umiltà e obbedienza. Solamente uno studente di questo tipo è uno studente autentico. Non dovete avere neanche una traccia di ego, di orgoglio, di prosopopea e di altre simili qualità negative.\\
-Lo studente che ieri ha recitato nel ruolo di Prahlâda lo ha fatto bene; la sua voce era dolce e anche la sua recitazione era esemplare. Il padre di Prahlâda, Hiranyakashipu, dovette subire una punizione a causa del suo odio verso Dio: il Signore si incarnò come Avatâr Narasimha(1) e lo uccise. Se conduciamo una vita buona e virtuosa, anche la nostra fine sarà buona e ci procureremo inoltre un buon nome. Dalla nascita fino alla morte, dobbiamo condurre una vita esemplare. La gente, però, non presta ascolto alle parole buone, ascolta soltanto i consigli cattivi e si rovina. Viaggiando in treno o in autobus, è nostra esperienza comune avere incontrato un mendicante che canta splendidamente la gloria del Râmanâma (il Nome di Râma). I nostri compagni di viaggio ascoltano il canto felici immergendosi completamente in esso e, alla fine, quando il mendicante termina il suo canto e fa per andarsene, la gente si complimenta con lui dicendo: “Hai cantato molto bene e ci hai resi felici.” Poi esprime la propria gratitudine facendogli la carità. Così, quando fate felici gli altri, la vita può avere davvero un significato.+Lo studente che ieri ha recitato nel ruolo di Prahlâda lo ha fatto bene; la sua voce era dolce e anche la sua recitazione era esemplare. Il padre di Prahlâda, Hiranyakashipu, dovette subire una punizione a causa del suo odio verso Dio: il Signore si incarnò come Avatâr Narasimha e lo uccise. Se conduciamo una vita buona e virtuosa, anche la nostra fine sarà buona e ci procureremo inoltre un buon nome. Dalla nascita fino alla morte, dobbiamo condurre una vita esemplare. La gente, però, non presta ascolto alle parole buone, ascolta soltanto i consigli cattivi e si rovina. Viaggiando in treno o in autobus, è nostra esperienza comune avere incontrato un mendicante che canta splendidamente la gloria del Râmanâma (il Nome di Râma). I nostri compagni di viaggio ascoltano il canto felici immergendosi completamente in esso e, alla fine, quando il mendicante termina il suo canto e fa per andarsene, la gente si complimenta con lui dicendo: “Hai cantato molto bene e ci hai resi felici.” Poi esprime la propria gratitudine facendogli la carità. Così, quando fate felici gli altri, la vita può avere davvero un significato.
  
    
Linea 155: Linea 155:
  
 Cari studenti!\\ Cari studenti!\\
-Studiate bene e non sprecate tempo. Quando avete tempo, leggete solamente libri buoni. Seguite il sentiero retto che porta a Dio e diventate brave persone; soltanto gli studenti delle Istituzioni Educative Sathya Sai possono trasformare tutte le genti del mondo in buoni cittadini. Siate buoni e rendete buoni gli altri. Evitate le qualità malvagie come kâma (il desiderio) e krodha (l'ira). Oggi i nostri bambini presenteranno una commedia dal titolo “Shrî Krishna Rayabaram”. Voi tutti sapete che, nel Mahâbhârata, i cattivi Kaurava tormentavano i Pândava in molti modi, ma questi ultimi erano di indole veramente buona. La loro mente era pura e facevano del loro meglio per fare del bene ai Kaurava. Citerò un piccolo esempio per illustrare come fossero pure le loro menti. L'anziana Kuntî, madre dei Pândava, si accasciò ed esalò l'ultimo respiro nel sentire la triste notizia che il Signore Krishna aveva lasciato le Sue spoglie mortali. Dharmarâja, il figlio maggiore, che le era vicino durante gli ultimi istanti, tenne la sua testa in grembo mentre i quattro fratelli, Bhîma, Arjuna, Nakula e Sahadeva, erano intorno a lui. Egli spiegò quindi loro: “Miei cari! Il Signore Krishna, che ci ha protetto sempre, è partito per la Sua residenza celeste. Non dobbiamo pertanto rimanere oltre in questo mondo.” Chiamò poi Bhîma vicino a sé e gli disse di approntare il funerale della madre. Chiamò anche Arjuna e lo istruì a organizzare la cerimonia per l'incoronazione di Parikshit come re e infine si rivolse ai due fratelli più giovani, Nakula e Sahadeva, ai quali ordinò: “Dobbiamo cominciare la nostra grande marcia verso l'Himâlaya; andate a fare tutti i preparativi per il viaggio.” Così, da una parte organizzava il funerale della loro madre e dall'altra l'incoronazione come re del nipote del proprio fratello minore(2), per assicurare la continuità della dinastia. Può qualcuno affrontare un simile compito in una situazione così pesante? In tal modo tutte le responsabilità venivano adempiute nello stesso momento, a quel tempo e in quel luogo. I Pândava iniziarono la loro grande marcia. Draupadî, Bhîma, Arjuna, Nakula e Sahadeva caddero durante il tragitto; Dharmarâja continuò il viaggio da solo e, per prima cosa, raggiunse naraka  (l'inferno), in cui vide molte persone sottoposte a vari tipi di punizioni per i loro peccati. Nel momento in cui entrò nell'inferno, esse sentirono alleviate le loro sofferenze e furono molto contente. Ora nasce la domanda: perché, per prima cosa, Dharmarâja dovette andare all'inferno? Egli non aveva mai detto una bugia in tutta la vita, eppure, durante la guerra del Mahâbhârata, aveva pronunciato le parole: “Ashvatthâmâ hatah” (“Ashvatthâmâ è morto”) a voce alta, e la parola “kuñjarah” (l'elefante) a voce bassa, in modo che il possente guerriero Dronâchârya morisse per il trauma della notizia. Le parole “Ashvatthâmâ hatah kuñjarah” significavano che l'elefante di nome Ashvatthâmâ era morto. Sfortunatamente anche il nome del figlio di Dronâchârya era Ashvatthâmâ ed egli, nel frastuono ed eccitazione della guerra, non poté udire la parola “kuñjarah” e interpretò il dire di Dharmarâja come: “Ashvatthâmâ è morto.” Incapace di sopportare il dolore e scosso dalla presunta morte del figlio, egli gettò via l'arco e le frecce sul campo di battaglia. Così Dharmarâja fu indirettamente responsabile della caduta di Dronâchârya, avendo detto il falso in un'occasione e, per espiare quel peccato, dovette rimanere all'inferno per un certo tempo, dopodiché fu accolto in cielo. Mentre egli partiva per il paradiso, coloro che scontavano la pena all'inferno caddero ai suoi piedi e pregarono: “Signore! Per piacere, non lasciarci. Rimani qui e dacci gioia.” Dharmarâja rispose: “Miei cari! Non posso che obbedire al comando di Dio”, e partì per il paradiso. Dovunque siamo, se facciamo il bene, sperimenteremo soltanto il bene. Un lavoro buono produce solamente buoni risultati.+Studiate bene e non sprecate tempo. Quando avete tempo, leggete solamente libri buoni. Seguite il sentiero retto che porta a Dio e diventate brave persone; soltanto gli studenti delle Istituzioni Educative Sathya Sai possono trasformare tutte le genti del mondo in buoni cittadini. Siate buoni e rendete buoni gli altri. Evitate le qualità malvagie come kâma (il desiderio) e krodha (l'ira). Oggi i nostri bambini presenteranno una commedia dal titolo “Shrî Krishna Rayabaram”. Voi tutti sapete che, nel Mahâbhârata, i cattivi Kaurava tormentavano i Pândava in molti modi, ma questi ultimi erano di indole veramente buona. La loro mente era pura e facevano del loro meglio per fare del bene ai Kaurava. Citerò un piccolo esempio per illustrare come fossero pure le loro menti. L'anziana Kuntî, madre dei Pândava, si accasciò ed esalò l'ultimo respiro nel sentire la triste notizia che il Signore Krishna aveva lasciato le Sue spoglie mortali. Dharmarâja, il figlio maggiore, che le era vicino durante gli ultimi istanti, tenne la sua testa in grembo mentre i quattro fratelli, Bhîma, Arjuna, Nakula e Sahadeva, erano intorno a lui. Egli spiegò quindi loro: “Miei cari! Il Signore Krishna, che ci ha protetto sempre, è partito per la Sua residenza celeste. Non dobbiamo pertanto rimanere oltre in questo mondo.” Chiamò poi Bhîma vicino a sé e gli disse di approntare il funerale della madre. Chiamò anche Arjuna e lo istruì a organizzare la cerimonia per l'incoronazione di Parikshit come re e infine si rivolse ai due fratelli più giovani, Nakula e Sahadeva, ai quali ordinò: “Dobbiamo cominciare la nostra grande marcia verso l'Himâlaya; andate a fare tutti i preparativi per il viaggio.” Così, da una parte organizzava il funerale della loro madre e dall'altra l'incoronazione come re del nipote del proprio fratello minore, per assicurare la continuità della dinastia. Può qualcuno affrontare un simile compito in una situazione così pesante? In tal modo tutte le responsabilità venivano adempiute nello stesso momento, a quel tempo e in quel luogo. I Pândava iniziarono la loro grande marcia. Draupadî, Bhîma, Arjuna, Nakula e Sahadeva caddero durante il tragitto; Dharmarâja continuò il viaggio da solo e, per prima cosa, raggiunse naraka  (l'inferno), in cui vide molte persone sottoposte a vari tipi di punizioni per i loro peccati. Nel momento in cui entrò nell'inferno, esse sentirono alleviate le loro sofferenze e furono molto contente. Ora nasce la domanda: perché, per prima cosa, Dharmarâja dovette andare all'inferno? Egli non aveva mai detto una bugia in tutta la vita, eppure, durante la guerra del Mahâbhârata, aveva pronunciato le parole: “Ashvatthâmâ hatah” (“Ashvatthâmâ è morto”) a voce alta, e la parola “kuñjarah” (l'elefante) a voce bassa, in modo che il possente guerriero Dronâchârya morisse per il trauma della notizia. Le parole “Ashvatthâmâ hatah kuñjarah” significavano che l'elefante di nome Ashvatthâmâ era morto. Sfortunatamente anche il nome del figlio di Dronâchârya era Ashvatthâmâ ed egli, nel frastuono ed eccitazione della guerra, non poté udire la parola “kuñjarah” e interpretò il dire di Dharmarâja come: “Ashvatthâmâ è morto.” Incapace di sopportare il dolore e scosso dalla presunta morte del figlio, egli gettò via l'arco e le frecce sul campo di battaglia. Così Dharmarâja fu indirettamente responsabile della caduta di Dronâchârya, avendo detto il falso in un'occasione e, per espiare quel peccato, dovette rimanere all'inferno per un certo tempo, dopodiché fu accolto in cielo. Mentre egli partiva per il paradiso, coloro che scontavano la pena all'inferno caddero ai suoi piedi e pregarono: “Signore! Per piacere, non lasciarci. Rimani qui e dacci gioia.” Dharmarâja rispose: “Miei cari! Non posso che obbedire al comando di Dio”, e partì per il paradiso. Dovunque siamo, se facciamo il bene, sperimenteremo soltanto il bene. Un lavoro buono produce solamente buoni risultati.
  
    
Linea 162: Linea 162:
  
 Cari studenti!\\ Cari studenti!\\
-Dopo aver passato gli esami in questa Istituzione, potrete seguire studi più elevati altrove se lo desiderate, ma, assieme all'eccellenza accademica, fate che anche il vostro comportamento sia d'esempio agli altri. Non indulgete nella falsità, nell'ingiustizia e in cattivi percorsi. Seguite il sentiero della Verità e divenite immortali. Il Gîtâchârya(3) ha dichiarato: “Mamaivâmsho...” Non dimenticate questa verità e perseguite ovunque, con tale consapevolezza, qualunque tipo di apprendimento.+Dopo aver passato gli esami in questa Istituzione, potrete seguire studi più elevati altrove se lo desiderate, ma, assieme all'eccellenza accademica, fate che anche il vostro comportamento sia d'esempio agli altri. Non indulgete nella falsità, nell'ingiustizia e in cattivi percorsi. Seguite il sentiero della Verità e divenite immortali. Il Gîtâchârya ha dichiarato: “Mamaivâmsho...” Non dimenticate questa verità e perseguite ovunque, con tale consapevolezza, qualunque tipo di apprendimento.
  
    
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 (Tradotto dal testo inglese pubblicato da: www. sssbpt) (Tradotto dal testo inglese pubblicato da: www. sssbpt)
  
-Note:\\ +
-1) Avatâr Namasimha: l'Incarnazione di Dio quale uomo-leone.\\ +
-2) Si tratta di Arjuna, nonno di Parîkshit.\\ +
-3) Gîtâchârya: “Maestro della Gîtâ ”, un appellativo di Krishna +
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