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Discorsi Divini di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

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discorsi:1962:19621121

19621123 - 23 novembre mattino

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Aprite gli occhi

[1] Uppulluri Ganapati Shāstri possiede un titolo riservato solo a pochi studiosi vedici. Egli è riconosciuto ufficialmente come ‘Insigne Espositore del Significato dei Veda’. Gli ho permesso di parlare per il tempo che desiderava, anzi l’avevo incoraggiato a tenere un discorso lungo perché subito dopo egli aprirà la scuola di studi vedici ‘Vedashāstra Pātashāla’, un’istituzione che è cara al suo cuore ovunque venga aperta, ma essendo qui a Prashānti Nilayam gli è ancor più cara. Ganapati Shāstri, infatti, vede in questo un passo importante del Mio progetto di rinvigorire i Veda. Tuttavia, era così sopraffatto dalla beatitudine che non è riuscito ad andare avanti col suo discorso che per pochi minuti; ha pronunciato quelle poche parole solo per esprimere il suo debito di riconoscenza verso i Veda. Ma non si tratta solo del suo debito: è un debito che ha tutta l’umanità. I Veda hanno forgiato l’India e l’India ha formato, sta formando e formerà il resto del mondo. I Veda non conoscono inizio né fine; sono messaggi eterni raccolti da coscienze evolute durante la meditazione. La fedeltà ai Veda è scemata spesso anche in passato, e quindi il presente declino che Ganapati Shāstri ha deplorato è da considerarsi solo una fase passeggera.

[2] Durvāsa era un esimio erudito vedico; aveva la musica del Sāma Veda sulla lingua ed il fuoco della rabbia negli occhi: davvero una strana combinazione. Vedendo questa assurdità, Sarasvatī, la Dea della conoscenza e della liberazione, lo derise. Il saggio, sentitosi punto sul vivo, la maledì condannandola a rinascere sulla terra come figlia di Ātreya. La Dea aveva anche un fratello, un poverino dalla mente debole che non riusciva neanche a pronunciare i Veda in modo corretto nonostante gli sforzi di capaci insegnanti. Essi lo picchiavano con una bacchetta, ma ottenevano solo di farlo piangere disperatamente. Sarasvatī provò compassione per lui ed intervenne per salvarlo da quella tortura fisica. Gli insegnò i quattro Veda ed i sei Shāstra ed egli diventò, in questo modo, un grande maestro. Intanto i Veda erano scomparsi dalla memoria umana e, come risultato, una carestia piombò sulla nazione. I rishi, i saggi veggenti, erano ridotti a pelle ed ossa. Desideravano ardentemente il ripristino dei Veda perché quello era il sostentamento di cui vivevano. Il fratello di Sarasvatī, che si chiamava Sārasvata, rivolse le sue preghiere alla Luna, la quale fece germogliare dalla terra ortaggi commestibili di cui i rishi poterono nutrirsi. Sārasvata insegnò loro le sessanta sezioni dei Veda, ma la nebbia discesa sui Veda era talmente fitta che i saggi restavano confusi da un criticismo cinico. Intervenne Nārada per rassicurarli che quelli da loro appresi erano gli autentici Veda, ma anch’egli non riuscì a dissipare l’ombra del dubbio. Così si recarono insieme da Brahmā, il quale disse: “Siete stati in grado di conseguire la Mia visione grazie ai vostri studi vedici; potete diventare voi stessi Brahmā praticando quanto avete studiato.” In questo modo Sārasvata Mahā Rishi diede un nuovo impulso ai Veda.

[3] Ora, nuovamente i Veda hanno bisogno di essere rinverditi e sostenuti. Qualcuno deve impedire che l’ascia ne tagli le radici, che le capre ne mangino i germogli. Non inorgoglitevi troppo pensando che l’Avatār sia venuto solo per voi. Io sono disceso per salvaguardare il Dharma, l’eterna Legge Morale. In che modo può l’Avatār proteggere il Dharma? Bene: ‘I Veda sono le radici del Dharma’. Se i Veda sono preservati, ovvero se i maestri vedici sono protetti, i Veda rimarranno sempre verdi nel cuore dell’uomo. Questa è la vera ricostituzione del regno del Dharma. Potreste chiedervi: “Se il Signore si è incarnato, perché il mondo è dilaniato dai conflitti ed afflitto dalla sofferenza?” Anche quando s’incarnò il Signore Krishna c’erano la guerra e la perversione, lo scoraggiamento e la sofferenza. La pula va rimossa, il puro deve sempre essere salvato dall’impuro. L’attuale sofferenza è principalmente dovuta alla carenza di disciplina di quelli che si professano seguaci del sentiero vedico, alla loro inosservanza del codice morale prescritto dalle Scritture ed all’assenza di fede nelle Scritture Antiche. Che utilizzo può fare un cieco di una lampada, per quanto luminosa possa essere? Potreste domandarvi perché i maestri vedici ed i pandit stiano attraversando adesso tempi duri. Per la maggior parte, essi sono affamati, vestiti miseramente e senza fissa dimora; ma è quella la ragione per cui nessuno frequenta le scuole vediche? Infatti stanno estinguendosi. Voglio dirvi che i pandit si sono ridotti a questo livello perché essi stessi hanno perduto la fede nei Veda. Sono come il gatto di quel proverbio che frequenta due case, ma non riceve cibo né accoglienza in nessuna delle due. I pandit hanno un occhio puntato sugli studi e sulle questioni secolari, e l’altro su quelle spirituali. Si concentrino, invece, solo su una fede: quella nei Veda. Solo allora i Veda li renderanno felici, poiché se i Veda non riescono a rendere un uomo felice, cos’altro può farlo? Come il barista va in farmacia a prendere una pastiglia per il mal di testa, allo stesso modo il farmacista si reca al bar a bere una tazza di caffè, così l’Occidentale viene in Oriente in cerca della pace mentale e l’Orientale si innamora dell’Occidente perché crede di trovarla laggiù!

[4] Vi racconterò ora un fatto accaduto quand’ero nel corpo precedente a Shirdi. C’era una donna di Pahalgaon, una devota semplice ed illetterata, che era solita tenere in cucina l’acqua proveniente da tre differenti pozzi in tre contenitori d’ottone ben lucidati, e ad ognuno di essi aveva dato un nome: Gange, Yamunā e Sarasvatī; ella si riferiva ad essi chiamandoli proprio con quei nomi. Ogni qual volta un viandante assetato bussava alla sua porta, ella mescolava un po’ d’acqua di tutti e tre e gliela offriva come acqua dei tre fiumi. I suoi vicini di casa deridevano la sua fede, ma la sua certezza che i tre pozzi fossero connessi sottoterra con i tre fiumi che s’incontrano a Prayag era irremovibile. Un giorno suo marito intraprese un pellegrinaggio a Kāshī. Sua madre, nel benedirlo prima che partisse, gli mise al dito un suo anello d’oro dicendogli di averne gran cura perché gli avrebbe fatto da talismano. Mentre l’uomo faceva il bagno nel sacro Gange alla discesa di Manikarnika Ghat, l’anello gli scivolò nell’acqua e non si riuscì più a ritrovarlo. Tornato a casa, narrò l’episodio e, per consolarla, disse alla madre: “Il Gange lo voleva per sé e così l’ha preso.” Quando sua moglie sentì l’accaduto disse: “No, è impossibile, Madre Gange non desidera le cose di una povera vecchia. Ella accetta solo ciò che è offerto con amore. Sono certa che ci restituirà l’anello. Ora glielo domando; è proprio nella nostra cucina.” La donna si recò in cucina e con le mani giunte si mise a pregare davanti al contenitore che aveva chiamato Gange. Poi mise la mano nell’acqua e, certa di ciò che faceva, frugò sul fondo dove trovò l’anello! Quella donna era venuta a Dvārakāmayi col marito e la suocera. È la fede che conta; il Nome e la Forma su cui la fede è focalizzata non hanno importanza, poiché tutti i Nomi sono Suoi così come tutte le Forme.

[5] La fede può crescere unicamente sul suolo del Dharma, col fertile sottosuolo dei Veda. Ecco perché questa scuola vedica è inaugurata oggi. L’ho annunciato in ottobre e viene avviata in novembre. Con Me la risoluzione e la realizzazione coincidono nel tempo, non ci sono intervalli. Potreste osservare che ci sono unicamente venti ragazzi iscritti; se un vasto Paese è amministrato da un governo di solo dodici ministri, questo gruppetto di studenti è sufficiente per il lavoro che ho in programma. Il Mio compito è di aprirvi gli occhi circa la Gloria dei Veda e convincervi che le ingiunzioni vediche, se messe in pratica, conferiscono i risultati promessi. È Mio compito rendervi consapevoli dei vostri errori e di cosa ci rimettete; non solo voi che siete qui ora, ma tutta la popolazione dell’India e del mondo intero. Questa scuola diverrà un’università ed aprirà sedi distaccate ovunque ci siano ora altre università. Il Mio Amore per i Veda può essere paragonato solo all’Amore che nutro verso l’umanità. La Mia Missione ha quattro aspetti: sostenere i Veda ed i maestri vedici, il Dharma ed i devoti. Nel diffondere la Mia grazia e la Mia potenza in queste quattro direttrici, Io mi pongo al centro. Questi ragazzi diverranno pilastri forti e dritti del Sanātana Dharma, l’antica sapienza, il sentiero eterno. Saranno i leader e le guide di questo Paese nei giorni a venire. I genitori che li hanno mandati in questa scuola hanno ben ragione di essere felici, in quanto questi ragazzi diverranno gemme che divulgheranno ovunque lo splendore vedico e la conoscenza delle Scritture. Mi prenderò cura di loro come delle pupille dei Miei occhi, più di qualunque madre. Essi avranno sempre le Mie benedizioni.

Prashānti Nilayam, 23.11.1962

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da DISCORSI 1961 1962 (Sathya Sai Speaks-Vol.II) ed.Mother Sai Publications
discorsi/1962/19621121.txt · Ultima modifica: 2016/02/23 15:18 da 127.0.0.1