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Discorsi Divini di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

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discorsi:1994:19940513

19940513 - 13 maggio

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

VEDETE L'UNO IN TUTTI

Studenti,

dovreste conoscere, fin da piccoli, lo scopo e il significato dell'educazione. L'educazione serve a far evolvere dal livello materiale a quello divino. Generalmente voi ripetete la preghiera Tvameva mâthâcha pitha-tvameva, tvameva banduscha sakhatvameva - “Tu sei mia madre, Tu sei mio padre, Tu sei il mio parente (più stretto), Tu sei il mio amico” ma questa preghiera sa ancora di dualismo. Perché dovreste instaurare questi diversi tipi di rapporto con Dio? E' giusto invece dire: “Io sono Te e Tu sei Me”. Questa è vera spiritualità, ed è per questo che i Veda proclamano Tat tvam asi (“Quello tu sei”); Ayam Atma Brahma (“Questo Sé è Brahma”); Aham Brahmâsmi (“Io sono Dio”). “Io sono l'Atma e il Brahman” è l'essenza dell'insegnamento vedico ed è anche la via più facile per raggiungere la realizzazione.

La mente instabile

Voi dovreste considerare il Divino come l'Uno che è manifesto nelle molte forme. Tutte le forme sono solo creazioni della mente. Nella Gita, Arjuna chiede a Krishna:Chanchalam-hi manah Krishna! Pramâdhi balavaddrudham tasyâham nigraham manye vâyoriva sudushkaram: “La mente è veramente instabile, o Krishna! E' turbolenta, resistente e ostinata ed è davvero difficile da controllare come lo è il vento”. Se voi coltivate amicizie di vario tipo, la mente ondeggia senza sosta e farla fermare diventa molto difficile. Questo non è il giusto tipo di devozione.

La visione dell'unità

Narasimhan (nel discorso tenuto precedentemente) ha detto che è difficile comprendere l'unità nella diversità, ma, secondo Me, non c'è niente di più facile. Sono molto più difficili tutti i rituali di devozione come la preghiera, l'adorazione e il sacrificio. Voi pensate che sia difficile vedere l'unità nella diversità perché non avete la giusta visione. Supponiamo che vogliate raccogliere da terra il vostro fazzoletto da collo: il modo più semplice è di servirsi degli occhi per cercarlo. Se invece siete ciechi, sarà difficile poterlo raccogliere. Allo stesso modo, una persona che si trovi nell'ignoranza sarà sempre insoddisfatta e confusa. La via più semplice, allora, è quella di provare a sentire: “Io sono Te, Tu sei Me”, in modo che non esista altro oggetto.

Voi siete “coloro che vedono”; mentre tutto ciò che vedete è “quello che viene visto”. Quando però la visione si concentra sul Sé interiore, voi e le cose viste diventate uno. Se percepite la sensazione dell'<Io sono Te>, non può più esistere alcun motivo di preoccupazione. Questo è il sentiero regale ed è il più semplice per comprendere la Realtà. Se non comprende ciò, l'uomo continua a sprecare la propria vita nella pratica della meditazione o in altre inutili occupazioni.

Dal momento in cui siete nati, voi continuate senza sosta ad aggiungere sempre più oggetti a cui attaccarvi. All'inizio avevate solo una madre e un padre, poi dei fratelli, della sorelle, dei parenti e degli amici. Dopo il matrimonio, vostra moglie vi fa conoscere altri parenti e amici e così gli attaccamenti vanno aumentando sempre di più.

Se invece cercate un po' per volta di distaccarvi dalle vostre amicizie, riuscirete a ridurre gli attaccamenti e a sviluppare il distacco necessario per raggiungere la liberazione. Attaccamento e distacco hanno a che fare con ciò che coinvolge i sensi. La Divinità è invece molto più vicina a voi, ma ci vuole tempo per poterLa comprendere.

I tre maestri

Per ogni uomo esistono tre maestri. Il primo maestro è rappresentato dai genitori, i quali sacrificano la loro vita per poter dare benessere ai figli. I genitori insegnano ai figli in modo pratico, prendendosi cura di loro. Il secondo è il maestro spirituale, il quale guida lo studente a sviluppare la discriminazione ed a seguire il cammino che lo porterà a realizzare la divinità dentro di sé. Il terzo maestro è la coscienza, la quale è divina ed aiuta sempre a prendere la giusta decisione. Quando, ad esempio, si è sul punto di commettere un'azione sbagliata o di dire una falsità, la Coscienza si ribella ed ammonisce a non commettere quell'azione.

La supplica di Jabali a Râma

Nel Râmayâna abbiamo l'esempio di Râma che andò in esilio nella foresta per obbedire all'ordine di Suo padre. Questo fatto provocò grande amarezza tra la gente di Ayodhyâ ed anche grandi saggi come Vashista erano molto abbattuti. Râma era l'incarnazione della Rettitudine e il depositario di tutte le buone qualità; nonostante la giovane età, le sue capacità di governare erano senza eguali. Bharata e Shatrughna, arrivati a Ayodhyâ, seppero della partenza di Râma e si sentirono talmente sconvolti e addolorati, che non vollero rimanere nemmeno un istante e partirono immediatamente alla volta della foresta per chiedere a Râma di tornare ad Ayodhyâ e riprendere in mano il governo del regno, poiché Egli era il solo che potesse regnare con giustizia. Allora, tutta la gente di Ayodhyâ si unì a loro ed anche Vashista li seguì per aiutarli a convincere Râma a ritornare. Tutti insieme, quindi, supplicarono Râma di tornare a regnare ad Ayodhyâ.

Il saggio Jabali, che era un asceta, ragionò in quel momento come un ateo. Disse che l'uomo ha molti padri e molte madri durante le numerose vite che si susseguono e che tali legami sono temporanei come nuvole passeggere. “Nel tuo caso – disse il saggio – tuo padre è già morto e quindi non c'è alcun motivo per cui tu debba obbedire all'ordine di una persona che non c'è più. Rifiutandoti di regnare, stai causando grande angoscia alla gente, la quale potrebbe in futuro andare allo sbando. Non dovresti ignorare i desideri del popolo solo per tener fede alla volontà di una persona già morta. Ti scongiuro, quindi, di accettare la richiesta della gente di Ayodhyâ e di tornare al tuo regno”.

Râma e la sua promessa

Râma, tranquillamente, rispose: “O saggio, ti credevo un erudito e uno studioso molto versato nelle Scritture: non è da te parlare in questo modo. Credo sia sconveniente, da parte tua, venirmi a chiedere di non obbedire all'ordine di mio padre solo perché è morto. Io ho promesso di mettere in atto il suo ordine, ho dato la mia parola e sono ancora vivo; come potrei dunque non mantenere la parola data? E' meglio rinunciare al proprio corpo che rimangiarsi la parola. Bisognerebbe essere sempre grati ai genitori, sia che siano vivi o che siano morti. Un figlio ingrato dovrebbe esser considerato come cieco e buono a nulla.

Molti pregano il Sole come himaghnâya namah. Quando il sole sorge, la neve si scioglie (hima significa, appunto, “neve”). Il Sole viene adorato anche come tamoghnâya namah, cioè “colui che distrugge tamas, le tenebre”; infatti, dove c'è luce non ci sono tenebre. Esso viene anche adorato come krithaghnaghnâya namah, cioè “colui che distrugge la persona ingrata”. E' il Sole che dà la luce agli occhi per vedere, ed è sempre il Sole che acceca chi non ha gratitudine. Se io seguissi la tua proposta sarei il più grande dei peccatori e tutta la gente, seguendo il mio esempio, commetterebbe peccato. Vuoi dunque che io dia un così cattivo esempio? E' veramente ridicolo credere che io possa venir meno alla parola data”.

Avendo udito queste parole di grande saggezza, Jabali s'inchinò dinnanzi a Râma implorando il Suo perdono: “O Râma, - egli disse - io non sono contro la Verità! Non c'è nulla che Tu non conosca. Io ho usato quelle parole solo per aiutare la gente di Ayodhyâ, che Ti ama e che vuole che Tu ritorni a regnare in quella città”.

L'essenza della Divinità'

Râma fu sempre, per la gente, il giusto esempio da seguire. Egli mandò Sîtâ nella foresta avendo udito un comune cittadino parlare con disprezzo di quando Sîtâ era stata da Lui liberata e riportata indietro, nonostante avesse dimorato per mesi nella casa del suo nemico Râvana. Râma fece questo per rispetto della pubblica opinione, perché aveva stabilito, per la società, il comportamento ideale da seguire in ogni momento. E' per questo che viene chiamato il più alto Purusha, la Persona Suprema. Giustificando il Suo agire, incentrato sulla volontà paterna, Râma spiegò dettagliatamente a tutti i saggi l'essenza della divinità. Nella Gita, Krishna dice: Kavim Purânam anusâsithâram, anoraniyân samanusmaredyaha sarvasya dhâtâram achinthyarupam âdithyavarnam thamasah parasthâth: “L'Essere Supremo è saggio, antico, è Colui che comanda, è il più piccolo dei piccoli, è colui che tutto sostiene; di forma inconcepibile, risplende come il Sole ed è al di là delle tenebre dell'ignoranza”. (Cap.VIII/9)

Non esiste poeta più grande del Signore: quello che leggete nei comuni componimenti non è poesia. “Il vero poeta è colui che ha la visione del passato, del presente e del futuro.”: Trikâla vâkyam kavi. L'uomo, invece, conosce solo il passato e il presente, ma il futuro? Come fa, invece, il Poeta Divino a vedere anche il futuro? Perché Dio è onnisciente ed è al di là del tempo e dello spazio. Non subisce gli influssi del trascorrere del tempo, è immutabile ed eterno.

Il termine puranam solitamente vuol dire “molto vecchio”, ma in questo caso si riferisce alla Coscienza che pervade tutto il corpo (cioè la città delle nove porte, o pura) ed ogni cosa. La Coscienza è chiamata anche Anusâssitharam, “Colei che rafforza la legge”. Quando un criminale viene punito dal tribunale, dopo esser stato giudicato colpevole, viene messo in carcere. Ma solo il corpo viene punito, mentre la vera colpevole è la mente. Nessuno ha il diritto o la possibilità di punirla, mentre essa è la vera responsabile del comportamento di chi ha commesso il reato. La mente, infatti, può viaggiare dove vuole anche quando una persona è in prigione, e il Governo o la polizia non hanno alcun controllo su di essa. Solo il potere supremo del Divino può avere il controllo sulla mente.

L'effulgenza del Signore è simile a dieci milioni di Soli, e il Suo volto risplende con la stessa brillantezza del Sole. Essendo stata colpita dal radioso fulgore del volto di Râma, Sabarî[1] entrò in estasi e descrisse quell'effulgenza paragonandola all'immacolata luna piena. (Swami ha poi scherzosamente osservato come i volti degli uomini odierni assomigliano ad una giungla di barbe e basette e siano volti senza luninosità).

ll viso di Râma non aveva ombre perchè il Suo cuore era puro e colmo del senso di sacrificio. Egli, infatti, non fece mai nulla solo per Sé. Qualsiasi cosa facesse era solo per il bene del mondo intero (lokasamrakshana). Râma era l'incarnazione del Dharma (Rama vi-grahavân Dharmaha). Se l'uomo segue il Dharma, viene protetto dallo stesso Dharma. Râma sacrificò tutte le comodità e i privilegi della vita regale e sopportò le privazioni della vita della foresta. Bisogna perciò prendere Râma come esempio ideale per gli studenti, i quali dovrebbero, appunto, rispettare e seguire le parole dei genitori. Il guru, il maestro, viene soltanto dopo i genitori.

La rinuncia completa

Solo quando arriverete alla rinuncia completa a tutti gli attaccamenti materiali (sarvasangaprait-thyagi) potrete raggiungere la Realizzazione del Sé. Prahlâda raggiunse l'identità completa con il Potere Supremo (Purnatvam), solo dopo essersi privato di tutti gli attaccamenti terreni. Il santo Tyâgarajâ cantava che lo stesso Signore si trova sia nella formica che nel Brahman (Chimalo Brahmalo). Quando acquisirete il senso di non-dualità (abhedabhavam), raggiungerete il livello più elevato.

Tuttavia, quando una formica vi cammina su una parte del corpo, non esitate ad ucciderla. Voi adorate l'immagine di un serpente, ritenendo che Dio sia in lui, ma, se un serpente vero vi si avvicina, vi affrettate ad ucciderlo. Questo è indicativo di come va il mondo. Fino a quando condurrete la vita di capofamiglia, dovrete seguire la moralità, rispettare i genitori, voler bene agli amici e servire la società.

Brindavan, Whitefield, 13 Maggio 1994

da: Mother Sai n. 6/96

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