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Discorsi Divini di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

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discorsi:1996:19960731

19960731 - 31 luglio

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Il Vedânta è molto facile da praticare

“Potete padroneggiare i Veda e il Vedânta,
potete essere esperti compositori di poesie e prose bellissime, ma se mancate di purezza di cuore andrete alla rovina.
Non dimenticate mai queste buone parole.”


Liberatevi delle impurità del cuore

Incarnazioni dell’Âtma Divino!
Fin dai tempi antichi, la cultura indiana ha propagato i princìpi dei quattro purushârtha (gli obiettivi della vita), cioè dharma, artha, kâma e moksha (rettitudine, ricchezza, desiderio e liberazione), oltre ai princìpi dei Veda e delle loro scienze ausiliarie. La radice della parola Veda è “vid” che significa “conoscenza”; questa conoscenza insegna all’uomo come egli possa vivere in modo significativo e nobile nel mondo facendo azioni buone al fine di raggiungere i quattro scopi principali della vita.

I Veda sono infiniti

I saggi e i veggenti ricevettero la conoscenza dei Veda direttamente da Brahman durante la meditazione profonda.
All’inizio, il Veda era uno.

Ekam veda
“Il Veda è uno.”

Esso era costituito di un solo corpo di inni. Si diceva anche:

Ananto vai veda
“Il Veda è infinito.”

Solamente i saggi e i veggenti erano depositari di questa conoscenza infinita. Più tardi, il Saggio Vyâsa la classificò nei tre Veda, cioè il Rig Veda, lo Yajur Veda e il Sâma Veda, allo scopo di introdurre, attraverso i loro insegnamenti, alti ideali nella vita dell’uomo.
In seguito, lo Yajur Veda fu diviso in due parti, il Krishna Yajur Veda e lo Shukla Yajur Veda, poi fu aggiunto l’Atharva Veda. Questi quattro Veda vengono praticati e diffusi. I Veda hanno nove nomi di cui il primo è shruti (l’ascolto). Che cosa significa? Sono detti così perché erano stati ricevuti dai rishi attraverso l’udito in stato di meditazione profonda. A quei tempi, la carta non c’era, non c’erano libri né macchine da stampa e la conoscenza dei Veda era trasmessa ai discepoli dal guru con la parola pronunciata; per questo i Veda erano anche chiamati Anushrava (“ciò che viene udito ripetutamente”). Il loro terzo nome è Trayî, il quarto Âmnâya, il quinto Samâmnâya, il sesto Chandas, il settimo Svândhyâya (autoapprendimento), l’ottavo Nigama e il nono Âgama. Essi sono chiamati Âgama e Nigama, in quanto non sono altro che l’inspirazione e l’espirazione del Divino.
I Veda sono relativi alla vita dell’uomo in questo mondo fenomenico; essi trattano della dualità. Ognuno di essi ha tre divisioni: i Brâhmana, gli Âranyaka e le Upanishad. I Brâhmana sono la compilazione dei mantra che si usano nell’officiare gli yajña, gli yâga e gli altri rituali propizi. Il nome Âranyaka significa che questa parte dei Veda è fatta per l’uomo che vive come vânaprastha (eremita) nella foresta con la moglie dopo aver completato la fase di capofamiglia. Le regole che governano lo stadio di vânaprastha sono molto dure e solamente aderendo totalmente a esse nel vânaprastha si guadagna il diritto di entrare nello stadio di sannyâsa (rinunciante). Il marito e la moglie devono abbandonare la casa e vivere come fratello e sorella in un eremitaggio nella foresta, devono sopportare le difficoltà di quel tipo di vita con pazienza, incuranti del caldo e del freddo intensi e degli altri capricci del clima. Essi devono osservare anche una ferrea disciplina nel nutrirsi: dal giorno di luna piena, devono, ogni giorno, ridurre di un boccone il pasto normale, in modo da fare digiuno completo il giorno di luna nuova, poi aggiungerne uno ogni giorno fino alla vigilia della luna piena. Se alcuni grihastha vogliono offrire loro del cibo per compassione, essi lo possono accettare solamente su delle foglie e non sul piatto; mai possono entrare in casa di un grihastha e mangiare. In quel tempo, era uso che le persone osservassero questa rigida disciplina della vita del vânaprastha. I quattro stadi della vita, cioè il brahmacharya (celibato), il grihastha, il vânaprastha e il sannyâsa sono relativi alla vita terrena dell’uomo e sono prescritti affinché egli acquisti progressivamente il controllo della mente. C’è poi uno stadio chiamato mahâpurushârtha, detto anche parabhakti (devozione suprema), che è oltre questi quattro.

L’essenza e lo scopo del Vedânta

Dopo c’è il Vedânta che è lo scopo finale della spiritualità. In effetti il Vedânta ne contiene l’inizio e la fine; esso porta ai tre tipi di yoga che ha importanza immensa per tutti. Anche gli studenti dovrebbero ascoltare con tutta l’attenzione. Il primo è il tarakam, il secondo è il sankhyam e il terzo è l’amanaskam; questi tre sono l’essenza e anche lo scopo del Vedânta. Che cos’è il tarakam? Il tarakam consiste nel comprendere e sperimentare i princìpi dei mudra (posizioni yogiche sottili), come il khecari ecc., e andare oltre a essi concentrandosi sul Nada Bindu (punto tra le sopracciglia) e sul principio del Soham sperimentando infine Sat-Cit-Ânanda. Tarakam significa essenzialmente fusione della mente dell’uomo nel Principio Supremo del Sat-Cit-Ânanda e il raggiungimento della saggezza totale. Il secondo tipo di yoga è il sânkhyam; dato che esso ha a che fare con i sânkhya (numeri), è chiamato Sânkhya Yoga. Il corpo umano consiste dei pañca koshâ (i cinque involucri dell’anima), dei pañcendrya (cinque sensi), dei pañca bhûta (cinque elementi), dei panca prânâ (prâna, apâna, vyâna, udâna e samâna), della mente, dell’intelletto, di citta, dell’ahamkâra e del jîvâtma (anima individuale); venticinque in totale. Sânkhya consiste nel comprendere che voi non siete alcuno di questi e nel trascenderli comprendendo così che siete l’Âtma, l’incarnazione di Sat-Cit-Ânanda.
Il terzo tipo di yoga è l’amanaskam. Che cosa significa? In questo mondo visibile, fatto dei cinque elementi, non esiste altro che Brahman e questo è ciò che dicono i Veda: “Brahman è uno senza secondo.” La creazione tutta è la manifestazione di Brahman, non c’è una seconda entità. Una volta compresa questa verità, la mente cessa di esistere. Voi vedete la diversità in questo mondo solamente a causa dei pensieri e dei contropensieri della mente; quando, in questa diversità, si realizza l’unità, non c’è più mente. Tutto è Brahman; qualunque cosa vediate, udiate, pensiate, diciate, facciate e dovunque andiate, tutto è Brahman. Soltanto quando c’è una seconda entità c’è spazio per i pensieri e i contropensieri, ma, quando c’è solamente l’unità, e cioè Brahman, non c’è posto per essi. Questo è lo stato di amanaska, che significa lo stato di privazione della mente. In questo stato c’è soltanto Amore; quell’Amore è Verità. In effetti Amore e Verità sono la stessa cosa. Quando Amore e Verità si uniscono, per voi il mondo perde la sua identità e vedete solamente Brahman dovunque.

L’Amore di Râdhâ per Krishna

Ecco un esempio. Una volta, Yashodâ stava cercando Krishna: “Dov’è Krishna, dov’è andato?” Ella Lo cercava perché Lo identificava con la Sua forma fisica; se comprendete che Krishna è dovunque, non avete più bisogno di cercarLo. Mentre Yashodâ cercava Krishna, arrivò Râdhâ e Yashodâ le chiese: “O Râdhâ! Hai visto mio figlio? Il mio Gopâla è venuto da te? Io l’ho cercato per tutte le strade e sono andata in tutte le case, ma non sono stata capace di trovarLo; l’hai visto da qualche parte?” Râdhâ chiuse gli occhi e recitò il Nome di Krishna con tutto l’amore del suo cuore: in quell’istante, Krishna apparve. Questo avvenimento fu una rivelazione che aprì gli occhi a Yashodâ ed ella disse a Râdhâ: “Ho sempre pensato che Krishna fosse mio figlio e io fossi Sua madre. Pensavo che nessuno amasse Krishna più di me; avevo questo orgoglio che nessuno al mondo desse a Krishna un amore illimitato come il mio; ma non avevo capito che il tuo amore per Lui è molto superiore ed è dotato di un grande potere; nel tuo amore c’è un potere così grande che, nel momento in cui Lo hai ricordato con amore, Egli si è manifestato davanti a te.” Di che tipo era l’amore di Râdhâ per Krishna? Era puro, senza macchia e totalmente privo di ego; ecco perché Krishna si manifestò lì e in quel momento. Se c’è anche una piccola traccia di impurità e di ego nel cuore, Dio non si manifesterà mai davanti a voi, indipendentemente da quante ore, giorni e persino yuga (ere) possiate pregarLo. Yashodâ prese la mano di Râdhâ e disse: “Ero sotto l’influenza dell’ego e dell’ignoranza; tu li hai eliminati e mi hai aperto gli occhi. Ci possono essere molti nel mondo che amano Krishna più di me, ma, a causa della mia ignoranza, pensavo che il mio amore per Lui fosse il più grande; questo era il mio errore. Insegnami, ti prego, il sentiero d’amore che segui.” Râdhâ rispose: “Madre, questo non è qualcosa che si possa insegnare o dare; una volta che si porta a manifestazione il Sé e si ha fede totale in Krishna, questo amore si accende automaticamente in noi.”

Una volta che Krishna tornò a casa, Yashodâ si lamentò con Lui:

“O Krishna, Tu non mangi ciò che Ti servo, ma vai nelle case delle gopî e rubi il loro burro.
O caro Krishna! Questo rovina il nostro buon nome.
” 
 Yashodâ disse: “Krishna, in casa nostra c’è tanto burro, ma Tu non lo mangi. Invece, vai nelle case degli altri e rubi il loro anche quando essi cercano di mandarTi via. Qual è il significato che si cela in ciò?” Questo significa che Krishna non ruba il burro; ruba il cuore delle gopî che sono colme d’amore. Se voi alimentate un amore puro, altruistico e privo di ego, Dio si manifesterà davanti a voi immediatamente, senza che dobbiate aspettare neppure un momento.
La gente subisce la sofferenza solamente a causa della sua illusione che deriva dall’attaccamento al corpo.
Jumsai ha appena detto: “L’elio si è formato dalla fusione degli atomi di idrogeno nel sole.” Jumsai è un grande scienziato e ha una mentalità scientifica; egli ha anche spiegato come si sono formate le stelle e la Via Lattea. Ciò che ha forma, ha nascita e morte; ciò che rimane permanentemente, anche dopo la dissoluzione della forma, è Verità. Ecco un esempio: mucca è il nome di un animale. Anche dopo che la mucca è morta, il termine rimane; in modo simile, dopo la morte di un individuo, il suo nome rimane. Quando l’Âtma assume una forma, questa può scomparire con l’andare del tempo, ma l’Âtma rimane per sempre.

Materia ed energia si combinano per formare il corpo umano Jumsai ha detto anche che ognuno dovrebbe cercare la Verità, ma che bisogno c’è di cercare la Verità se questa è dovunque? Il corpo che esprime la Verità può morire, ma la Verità non viene distrutta mai; similmente, il Principio di Brahman è eterno e immutabile. Brahman è presente dovunque sotto forma di suono, di luce, di vibrazione, di coscienza, di consapevolezza ecc.; com’è possibile attribuirGli una forma? La Verità è immanente in tutte le forme: questa è la realtà affermata dal Vedânta. Il grande yogin Brahman Garu dell’Andhra Pradesh spiegò questo principio del tarakam come segue:

Senza cadere sotto il velo della dimenticanza,

sempre, negli stati di veglia, di sogno e di sonno profondo,
ognuno dovrebbe essere costantemente cosciente del Mantra del Soham,

che dà la possibilità di manifestare l’Atma Tattva.


Il tarakam non è associato ai pañca kosha, ai pañcendriya o ai pañca prâna che sono tutti relativi al corpo fisico; il Tarakam non ha niente a che fare con questi. Brahman è onnipervadente ed è presente in tutte le forme e in tutta la materia. Tutto è materia, anche il corpo fisico lo è; come possiamo spiegarlo? Potete verificarlo anche chiedendo ai medici. Il corpo umano è fatto di costituenti come l’acqua, il ferro, il fosforo, il piombo, lo zinco ecc. Il valore di questi materiali tutti insieme è appena di qualche rupia. L’inestimabile corpo umano è fatto con materiali di valore così scarso e assume preziosità solamente quando in esso c’è la vibrazione. Da dove viene la vibrazione? Viene da Brahman. La vibrazione entra nel feto quando questo è di quattro mesi e nove giorni. Prima dell’ingresso della vibrazione, il feto è una massa rotonda di gelatina. Quando la vibrazione vi entra, esso comincia a ruotare e assume una forma ovale. Come comincia questa vibrazione? È la madre a inviarla all’interno? No, non è inviata da nessuno; comincia all’interno quando l’energia si combina con la materia. Il corpo umano è formato da una combinazione di materia ed energia, come a dire che Brahman e Mâyâ vi sono presenti ambedue. In questo ambito, non dovremmo riferirci a Mâyâ come all’illusione: è solamente Mâyâ. Questo è il segreto del Vedânta. Noi consideriamo questo corpo come umano, ma, in effetti, esso non è umano: è Brahman. Qui c’è un microfono; quando parlo vicino a esso, tutti voi potete udire la Mia voce, ma, se non c’è elettricità, non potete sentire niente anche se parlo molto vicino. Questo microfono è la materia, la corrente elettrica è l’energia; quando le due si combinano, tutti voi potete udire la Mia voce. Allo stesso modo, Brahman e Mâyâ si combinano per assumere la forma di Brihat, cioè l’energia che si espande sempre.

Realizzate la vostra identità con Dio

Incarnazioni dell’Amore!
Tutti voi state guardando qui: guardate all’interno invece.

“Chi vede la realtà ma non la riconosce è stolto.”

Nel guardare fuori, non ottenete niente, eppure voi vedete continuamente soltanto il mondo esteriore. Dovreste interiorizzare la vostra visione; se orientate la visione verso l’interno, vedrete la vostra vera forma; quindi, bisogna che guardiate all’interno, non all’esterno. Tutto ciò che vedete all’esterno, non ha valore. Il padrone di casa tiene le scope, i piatti, i cesti ecc. in giro, ma salvaguarda le cose di valore, come i diamanti, in una cassa d’acciaio ben chiusa. I servitori possono vedere solamente le cose che sono in vista nella casa, non quelle preziose tenute nella cassaforte; soltanto il padrone di casa sa che cosa c’è dentro, mentre i famigli e gli operai vedono solo le cose che valgono poco. Così, se vedete solamente ciò che è all’esterno, non siete migliori di un servitore. Le gemme preziosissime di tarakam, sankhyam e amanaskam sono in voi, ma voi non ne siete consapevoli. Per quale ragione? Non avete allacciato una relazione con il padrone e tutte queste cose preziose si possono vedere soltanto se si è in relazione con lui. Chi è il padrone? Dio è il Padrone. Che cosa dovreste fare per stabilire un’amicizia con Dio? Questo è descritto dettagliatamente nel Vedânta, ma, affinché i bambini lo capiscano, Io scendo al vostro livello per spiegarlo. Fate conto che il Padrone di casa, Dio, abiti al piano superiore della Sua residenza: voi volete incontrarLo, ma all’ingresso c’è Mâyâ sotto forma di un grosso cane alsaziano che non vi lascia entrare. Che cosa dovete fare? Ci sono due modi: o vi fate amico l’alsaziano Mâyâ affinché vi lasci entrare o chiamate a voce alta il Padrone perché scenda a prendervi con Sé dicendo: “Ciao, sei venuto!” Se Egli stesso vi conduce all’interno, il cane non vi disturba, ma, se siete soli, non vi permette di entrare. Dio è in un luogo più alto e ha posto Maya come cane da guardia all’ingresso della Sua residenza. Fare amicizia con Mâyâ è Jñâna (saggezza). Come si può fare? Chi ha messo Mâyâ all’ingresso? Dio ce l’ha messa. Se voi realizzate la vostra identità con Dio, il Padrone della casa, Mâyâ non può impedirvi di entrare. La realizzazione della vostra identità con Dio corrisponde allo stato di Advaita. È per questo che si dice:

“L’esperienza del non dualismo è saggezza.”

D’altro canto, se gridate i nomi di Râma, Krishna, Govinda o Nârâyana da basso, il Padrone scenderà e vi condurrà all’interno con Sé; quando siete con Dio, Maya non può mettervi in difficoltà; quindi dovreste avere Jñâna o Bhakti per entrare nella residenza della liberazione e stare con Dio. Dovreste essere in comunione continua con Dio nei tre stati: di veglia, di sogno e di sonno profondo. Potreste chiedervi come sia possibile cucinare, fare i lavori di casa o compiere le proprie mansioni quotidiane se si pensa a Dio continuamente; gli studenti possono domandarsi come possano studiare, ricordare le lezioni e passare gli esami se pensano a Dio senza interruzione, ma non si dovrebbe dare spazio a questo dubbio: considerate tutto il lavoro come lavoro di Dio.

Fate tutto il lavoro con sentimenti divini

Quando cucinate il cibo, la sua quantità deve essere proporzionata al volume della pentola che usate e serve anche una fonte di calore adatta. Se la pentola è piccola dovete metterci mezzo chilo di riso soltanto e la cottura sarà corretta, ma non potrete cuocere due chili di riso in un recipiente piccolo. E non basta: non dovete fornire più del calore necessario perché, se mettete una pentola piccola su di un fuoco grande, la carbonizzate. Poi, quando il cibo comincia a cuocere, dovrete ridurre gradualmente la fiamma. È in questo modo che dovete indagare su ciò che è temporaneo e ciò che è permanente in ogni aspetto della vita. Una volta attraversato il fiume, non c’è più bisogno di usare la zattera; allo stesso modo, quando il cibo è cotto, non avete più bisogno della fiamma. Finché avete fame, vi necessita del cibo, ma, quando la fame è saziata, esso non vi serve più. Questo, però, non significa che dobbiate sprecare o distruggere qualcosa una volta soddisfatto il vostro bisogno.

“Come chi brucia la zattera dopo aver attraversato il fiume,
l’uomo dimentica Dio dopo che i suoi desideri sono stati esauditi.
Tale è l’ingratitudine dell’uomo moderno.”

La zattera che vi ha aiutato ad attraversare il fiume deve esser messa al sicuro in modo che altri possano usarla; in questo modo dovreste far del bene agli altri. A che serve bruciarla dopo averla usata? Non ha alcuno scopo. Dopo aver sperimentato la beatitudine della contemplazione di Dio, dovreste rimanerci sempre immersi. Fate qualunque cosa, come leggere, scrivere, camminare, parlare ecc., con sentimenti divini. Non indulgete nel parlare superfluo che è inutile, inutile, inutile! Perché, invece, non parlate di Dio? Non date spazio a chiacchiere inutili. Usare il tempo per studiare è corretto. Usate il tempo libero per fare buone azioni; questa è vera consapevolezza. Che cosa significa “consapevolezza”? Consapevolezza è Cit cioè conoscenza, ma gli studenti non possono acquisire la conoscenza vera a causa del troppo parlare e non solo: il parlar troppo spreca il potere della vibrazione e della radiazione; quindi non indulgete mai nel parlare superfluo di qualunque argomento. La vostra mente può non vacillare in seguito a tali discorsi, ma, nell’ascoltarvi, altre menti potrebbero farlo; quindi dovete tenere sempre presenti i sentimenti degli altri.

Guardar commettere un peccato senza far niente è anche questo peccato

Potete dire che la persona che vi è vicina sta commettendo una malvagità, mentre voi non state facendo niente di male. State guardando l’altro che fa il male come spettatore inerte, quindi ne subirete la metà della colpa. Ci sono molti segreti sottili simili nel Vedânta. Quando Duryodhana cercò di disonorare Draupadî alla corte dei Kaurava, ella chiese a tutti gli anziani come Bîshma, Dronâcârya e Kripâcârya di salvarla, ma nessuno di loro la soccorse. In seguito, Krishna disse a Bîshma: “Tu sei un uomo di grande saggezza, Dronâcârya è uno dei precettori più grandi, ma nessuno di voi ha aperto bocca per impedire a Duryodhana di commettere questo enorme peccato. Quindi non solamente lui è il peccatore; anche voi vi avete preso parte guardandolo commettere sotto i vostri occhi.” Se sapete che ciò che viene compiuto è un misfatto e non fate niente per impedirlo, ne condividete la responsabilità. Se rimanete passivi a osservare qualcuno che commette violenza, non potete sfuggire al biasimo. Chi commette il male, chi sta a guardare, chi lo incoraggia e chi ne gioisce sono tutti malfattori; quindi tutti gli anziani come Dronâcârya e Bhîshma erano egualmente da deplorare per l’atto malvagio di Duryodhana. Quale fu il loro destino finale? Bhîshma dovette rimanere sul letto di frecce per cinquantasei giorni prima di morire. Perché un uomo di grande saggezza dovrebbe andare incontro a una fine simile? Ben sapendo che ciò che veniva fatto era un misfatto, non cercò di impedirlo; questa fu la causa del suo soffrire alla fine. Dronâcârya era un precettore insigne che insegnò l’arte di usare le armi ai Kaurava e ai Pândava; che cosa gli successe alla fine? Udendo Dharmarâja dire “l’elefante Ashvattâman è morto”, fu così sopraffatto dal suo attaccamento che pensò che suo figlio Ashvattâman fosse stato ucciso, per cui gettò le armi e fu ucciso sul campo di battaglia. L’uomo soffre di tre tipi di attaccamento: al denaro, alla moglie e alla progenie. Questo è stato spiegato abbondantemente nel Vedânta. Egli commette molti misfatti per essi. Per realizzare il principio del tarakam, deve liberarsene.

Sviluppate Amore e Fede per raggiungere Dio

Il Principio Divino di Brahman è immanente in tutti. Se meditate su Brahman con il sentimento di unità, Lo raggiungerete sicuramente. Krishna disse ad Arjuna: “Tu puoi chiederti come sia possibile pensare a Me in mezzo alla battaglia. TieniMi in mente e combatti; se combatti pensando a Me, vincerai sicuramente. Se pensi a Me, Io mi incaricherò di tutto.” Si deve aver fede totale nelle parole di Dio. Ecco un esempio che ho citato ai Miei studenti molte volte: la guerra del Mahâbhârata doveva cominciare nel giorno di luna nuova e Arjuna era totalmente demoralizzato e depresso nel vedere la formazione delle armate dei Kaurava e dei Pândava il giorno prima, cioè Caturdashî. Era stato Arjuna stesso a ripetere che essi erano pronti per la battaglia contro i Kaurava e che Krishna non andasse alla corte dei cugini in missione di pace; ora che la guerra stava per cominciare effettivamente, proprio Arjuna era molto nervoso. Krishna voleva dargli la conoscenza della Bhagavad Gîtâ per infondergli coraggio ed entusiasmo, ma voleva prima valutare se l’allievo avesse fede totale in Lui. Egli condusse Arjuna in una foresta e attese il buio per tornare. Allora indicò un uccello appollaiato su un albero e disse: “Arjuna, guarda com’è bello quel pavone!” Egli iniziò questa conversazione per conoscere lo stato mentale di Arjuna., il quale rispose: “Sì, Swami, il pavone è davvero bello.” Di nuovo Krishna disse: “O scriteriato, quello non è un pavone! Non vedi che è un’aquila?” “Sì, Swami, è un’aquila”, disse Arjuna. Allora Krishna gli dette una pacca sulle spalle e proseguì: “Che sciocco sei, Arjuna, a non saper distinguere se si tratti di un pavone, di un’aquila o di qualche altro uccello! Guarda bene, non è né un pavone né un’aquila: è un piccione.” Arjuna rispose: “Sì, Swami, è un piccione.” Al che Krishna, fingendo di essere un po’ arrabbiato, disse: “Non hai buonsenso? Non hai potere di discriminazione? Che cosa stai pensando? Sembra che tu non discerna se si tratti di un pavone, di un’aquila o di un piccione. Stai ciecamente dicendo “sì” a qualunque cosa Io dica.” Arjuna, quindi, replicò: “O Krishna, se io dico che non è un pavone, Tu puoi farlo diventare tale e, similmente, se dico che non è un’aquila o un piccione, Tu puoi trasformarlo in uno di essi. Tu puoi fare tutto; quindi importante è la Tua parola. Che cosa conta per me che sia un piccione, un pavone o un’aquila?” Krishna fu molto contento del fatto che Arjuna avesse una fede così grande nelle Sue parole; gli mise una mano sulla testa e lo benedisse dicendo: “Ora sei Mio vero devoto.”

“Fissa la mente in Me, sii a Me devoto, rendiMi omaggio e adoraMi.
Io ti prometto che verrai certamente a Me
 perché tu Mi sei caro.”
(Bg. 18.65)

Solamente dopo la conferma che Arjuna aveva una fede assoluta nelle Sue parole, Krishna gli impartì la conoscenza della Bhagavad Gîtâ. A che servirebbe comunicarne la conoscenza a chi non ha fede? In modo simile, voi dovreste aver fede totale negli insegnamenti del Vedânta. Solamente così potete comportarvi di conseguenza. Se obbedite ai precetti di Swami con fede totale e meditate su di Lui continuamente, Ne avrete la visione in un momento; in verità, Egli si manifesterà davanti a voi istantaneamente. Così dovete analizzare gli insegnamenti del Vedânta e comprendere il loro significato. In effetti, capire il Vedânta è molto facile; la gente cade in confusione perché non è capace di comprenderne il significato reale. Non c’è comunque pericolo nel confondersi, ma certuni cadono persino in depressione. Una persona che sia in confusione e anche in depressione, perde l’equilibrio mentale. Se fate uno sforzo vero, comprendere il Vedânta vi sarà facile. Può essere un po’ difficile schiacciare il petalo di un fiore o un fiocco di burro, ma comprendere e seguire l’insegnamento del Vedânta è molto più semplice.

Studenti!
Capite bene questo: il burro è molto morbido, ma non si scioglie se non lo si scalda un po’. In modo simile, Dio è molto tenero e dolce, ma, se volete sperimentarLo, avete bisogno del fuoco della Saggezza. Ciò si può esemplificare con la vita di una coppia che vive nella foresta durante lo stato di vânaprastha. La moglie dispone tre sassi formando un braciere e vi pone sopra una pentola in cui mette riso e acqua; poi accende il fuoco. Il marito, sempre immerso nella meditazione su Brahman, vede la scena e ne dà un’interpretazione spirituale: egli vede nei tre sassi i tre guna, cioè sattva, rajas e tamas, nel recipiente il corpo umano, nel riso i desideri, nell’acqua l’amore e nel fuoco la fiamma della saggezza. Il riso si cuoce direttamente sul fuoco? No, il fuoco scalda prima la pentola che, a sua volta, trasmette calore all’acqua che cuoce il riso; in egual modo, voi dovete tenere il corpo in contatto con il fuoco della saggezza, cioè con Dio. Allora l’acqua dell’amore sarà riscaldata e bollirà il riso dei desideri. Per questo, dovete far sì che il corpo e la mente siano vicini e cari a Dio; se fate questo, tutti i desideri per le cose del mondo scompariranno. Questa è l’essenza del Vedânta. Com’è facile metterla in pratica nella vita di tutti i giorni! Non occorre studiare alcun testo sacro, né compiere pratiche spirituali. La gente di quei tempi comprendeva l’essenza del Vedânta in questo modo semplice e facile. Ci sono molte parole piccole che comunicano grandi verità del Vedânta. Con tre parole tratte dal Vedânta, si possono scrivere trecento libri. Com’è possibile? Nell’alfabeto inglese ci sono ventisei lettere con cui si possono scrivere tutti i libri; le sole quattro corde del violino producono ben quaranta suoni. Similmente, se avete solamente fede e amore, potete ottenere qualunque cosa. In effetti, Dio Stesso diverrà un pupo nelle vostre mani; non sarete voi nelle mani di Dio, ma Dio sarà nelle vostre mani se avrete amore e fede. Jumsai ha detto che, sebbene ogni persona appaia differente dalle altre, lo stesso Atma è presente in tutti.

“Tutti sono uno: siate equanimi con tutti.”

Egli ha detto che tutti sono figli di Dio, ma, a Mio parere, non sono figli di Dio, ma Dio Stesso.


L’Amore è l’Essenza Divina

Studenti!
Vi sto dicendo qualcosa di sottile e significativo; cercate di comprenderlo, è importante. Se diventate un amatore, potete amare uno o due individui, ma, se diventate l’Amore stesso, potete amare chiunque, tutti. Essendo un amatore, vi ponete in una categoria bassa; quindi non diventate tali. Siate l’Amore stesso. Se diventate l’Amore, sarete amati da tutti e raggiungerete Ekâtma Bhâva (il Principio di Unità). Lo stesso Principio d’Amore è presente in tutti; il Vedânta gli dà una grande importanza. Quale tipo d’amore si dovrebbe coltivare? Questo Amore non riguarda il corpo o la mente. Dio va amato in tutti i modi; allora tutti gli attaccamenti indesiderati saranno scacciati e soltanto allora sperimenterete il Principio dell’advaita. La canna da zucchero ha molti nodi, ma il suo succo è uniformemente dolce; in modo simile, possono esserci molte modulazioni nei vostri pensieri, ma, se aggiungete loro la dolcezza dell’Amore, essi diverranno sublimi. Questo è significato dal detto vedico raso vai sah (Dio è l’Essenza Stessa delle cose). L’Amore è divino; esso manifesta il Principio di Brahman. Dio è sotto forma d’Amore e l’Amore è l’Essenza Divina. Qui rasa non sta per padarasa (mercurio), ma per Prema Rasa (Essenza dell’Amore). Il mercurio non si mischia con nessun altro elemento, mantiene sempre la sua distinzione, mentre Prema Rasa non è così: si mischia e dà dolcezza a qualunque cosa con cui venga a contatto.

“Si può essere uno studioso del tutto esperto avendo padroneggiato i Veda, le Shâstra e i Purâna,
si può essere un grande imperatore e governare un regno vastissimo,
ma nessuno può eguagliare un devoto che ha sacrificato tutto al Signore.
Senza amore per Dio, la liberazione non si raggiunge.”

Oggi noi abbiamo iniziato, in piccole dosi, l’insegnamento del Vedânta. In verità, ogni Mantra del Vedânta è pregno di significato profondo. Il Vedânta è molto facile da praticare; spiegare il principio del Vedânta in termini altrettanto semplici è impossibile per chiunque eccetto la Divinità. Vedendo la Mia Forma Fisica, potete ingannarvi nel pensare che anch’Io sia un essere umano come voi. Potete amarMi, ma non dare la giusta importanza alle Mie parole a causa di questo inganno. Io, però, non sono il corpo né la mente, né buddhi o citta; non sono nessuno di questi. Ho assunto questo Corpo solo per il vostro bene. Lo si può evidenziare con un piccolo esempio: in questo bicchiere c’è dell’acqua; il bicchiere serve a contenerla.

“Ci sono una lampada, dell’olio e uno stoppino:
può la lampada accendersi da sola?
Non serve qualcuno che l’accenda?

Ci sono dei fiori, un ago e del filo: può la ghirlanda farsi da sola?
Non serve qualcuno per cucirla?”

C’è la conoscenza e c’è l’intelligenza, ma si può sperimentare la conoscenza se non c’è un Guru che la trasmetta? Similmente, questo Corpo è venuto per dimostrare che cosa sia la Verità, che cosa sia l’irreale e che cosa sia Brahman.

Realizzate la vostra unità con Swami

Incarnazioni dell’Amore!
Non pensate che Io parli spinto dall’ego: Io sto solamente rivelando la verità di Me Stesso. Voi non avete compreso neppure una frazione della Mia Realtà; nessuno può descrivere la Mia natura in un modo o nell’altro. Io sono un uomo tra gli uomini, una donna tra le donne, un bambino tra i bambini e sono Brahman quando sono solo. Questa è la Mia Realtà. (Applausi). Io Mi comporto in armonia con il gruppo di persone che sono intorno a Me. Quando sono tra gli anziani, devo comportarmi come loro; quando sono tra i bambini, devo comportarmi come un bambino. Se un anziano gioca con i balocchi, i bambini lo deridono. Se un bambino si aiuta con un bastone per camminare, come un vecchio, gli anziani si divertono. Per un uomo attempato, usare il bastone è naturale come per un bambino giocare con i balocchi; in modo simile, quando Io sono con i bambini, li faccio felici dando loro questo e quello, ma, se qualcuno viene da Me con il desiderio di conoscenza spirituale, Io gliela impartisco. Quando viene un capofamiglia, Io gli insegno il Dharma del capofamiglia e, nello stesso modo, insegno a ognuno ciò che gli necessita. Perché faccio tutto questo? Solamente per farvi raggiungere la realtà fondamentale della vostra unità con Swami. Siete stati molto fortunati a ottenere questa opportunità; nessun altro Avatâr ha dato questo tipo di occasione agli esseri umani. (Fragorosi applausi). Avendo questa opportunità d’oro, se vi comporterete in armonia con i Miei insegnamenti, la vostra vita sarà certamente santificata e redenta. A tempo debito, vedrete l’ascesa della Mia gloria quando anche i ciechi e coloro che non sanno diranno: “Swami è Dio.” Di quando in quando, Dio mette alla prova gli esseri umani. Non diventate vittime di Mâyâ; distinguetevi vittoriosi nelle prove di Dio. Se vi immergerete nell’Amore, supererete tutte le prove di Dio. Nessuno può dire che l’Amore sia così o cosà. È del tutto essenziale comprendere gli insegnamenti del Vedânta più che quelli dei Veda; il cammino dell’amore è molto più facile della ripetizione dei mantra, della meditazione, dello yoga ecc. Dio non è interessato a quante scatole di riso e a quante vesti avete distribuito ai poveri. Potete inviare questa lista all’ufficio delle tasse; ciò che Mi interessa sono solamente i vostri sentimenti. Anche se fate un atto minimo di carità, Io vedo i sentimenti che lo motivano. Non Mi interesso a quanti abiti o scatole di riso distribuite; Swami valuta solamente la qualità. Rukmini ottenne la grazia di Krishna offrendo soltanto una foglia di tulsî (basilico sacro), Kucela ottenne la grazia e l’Amore di Krishna offrendoGli un pugno di riso battuto. Che cosa fece Draupadî quando, non avendo niente, dovette nutrire il Saggio Durvâsa e i suoi mille discepoli? Ella offrì a Krishna un chicco di riso rimasto nella pentola e pregò: “Tu sei il nostro solo rifugio.” Quando Krishna mise in bocca quel chicco di riso, la fame di Durvâsa e dei suoi discepoli fu saziata immediatamente. Al tempo di ogni Avatâr, i devoti fanno richieste simili ottenendo la grazia infinita del Signore con piccole offerte piene di devozione e amore; quindi liberatevi delle impurità della mente, distruggete l’ego e imparate a offrire amore: solamente allora avrete la fortuna di sperimentare la Beatitudine.

(Bhagavân ha concluso il Discorso con il bhajan: “Satyam Jñânam Anantam Brahmâ…”)

Prashânti Nilayam, 31 luglio 1996,
Sai Kulwant Hall

(Da “Sanâtana Sârathi”, maggio 2013)

discorsi/1996/19960731.txt · Ultima modifica: 2016/10/22 15:42 da sathyamax