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Discorsi Divini di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

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discorsi:1996:19960909

19960909 - 09 settembre

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

L'attaccamento al Sé è vero Amore

“Le anime nobili sono toccate ben poco dalla critica e dal ridicolo degli altri.
L’elefante perde forse la sua grandezza e maestà perché i cani gli abbaiano contro?”

Rimanete saldamente legati a Dio

Incarnazioni dell’Âtma Divino!
Tutti gli oggetti di questa creazione appaiono colorati e voi pensate che questi colori facciano parte della loro natura, ma non è così; il loro colore particolare è soltanto apparente. Per esempio, il cielo sembra essere blu e così l’oceano, per cui voi dite che il cielo è blu, l’oceano è blu, ma questo non è corretto; né il cielo né l’oceano sono di colore blu. Il cielo, essendo molto lontano, appare blu ai nostri occhi e, in modo simile, l’oceano appare blu a causa della sua grandissima profondità. Quando andate sull’oceano e prendete dell’acqua con le mani, vedete che essa non ha colore.

Shankara mantenne la promessa fatta alla madre

Il bene e il male che voi sperimentate nel mondo dipendono dai vostri sentimenti, dai pensieri e dalle credenze. Voi non potete vedere la forma e il colore veri. L’elettricità è prodotta dall’acqua e usata in molti modi, ma non può esser vista a occhio nudo; in modo simile, tutti gli esseri viventi originano dal Principio Divino dell’Âtma che non si può vedere; si può solamente constatare il comportamento buono o cattivo degli esseri viventi che Ne originano. La filosofia dell’Advaita di Shankara divenne popolare tra gli studiosi. Una volta, mentre egli presiedeva una folta congregazione di eruditi, chiuse gli occhi e vide sua madre angosciata. Il cuore delle anime nobili è come uno specchio. Sospese allora immediatamente l’assemblea e andò a Kalady. Si accostò alla madre e le versò in bocca l’acqua santificata di tulasi prima che spirasse. Mantenne così la promessa che le aveva fatto. La gente di Kalady era generalmente contraria al fatto che qualunque sannyâsin (rinunciante) officiasse i riti funebri dei parenti perché credeva che questo fosse contro la tradizione. Si suppone che chi si fa rinunciante abbia abbandonato tutte le sue relazioni terrene, ma Shankara, sebbene fosse un rinunciante, andò a compiere i riti finali per la madre al fine di mantenere la promessa. Nessuno del villaggio si prestò ad aiutarlo in questo compito e i Bramini Nambudiri obiettarono con forza. Secondo loro, Shankara stava agendo contrariamente al Dharma. Non avendo altra possibilità, egli portò il corpo della madre sulle spalle e lo cremò nel giardino posteriore della sua casa. Nel Kerala, la stessa pratica è seguita persino oggi: se muore qualcuno della famiglia, essi ne cremano il corpo nel giardino dietro la casa. Se andate nel Kerala, vedrete che le case hanno dei giardini spaziosi sul retro. Spiego questo con qualche dettaglio in più affinché gli studenti lo comprendano: prima di farsi sannyâsin, si deve compiere il Virâja Homa. Che cos’è? Nel Virâja Homa, la persona compie i suoi riti funebri abbandonando tutte le relazioni terrene e il proprio nome; da quel momento, assume un nome nuovo e indossa la veste arancione. Quelli che prendono la via della rinuncia assumono nomi tipo Satcitânanda, Nityânanda ecc., ma, in molti di loro, non si vede neppure una traccia di Ânanda (Beatitudine). Uno che compie i suoi riti funebri nel Virâja Homa inizia una vita nuova; che bisogno c’è allora di avere relazioni terrene? Per questo è prescritto che un rinunciante non prenda parte agli atti cerimoniali e ai riti sacrificali. Ora vorrei darvi un piccolo esempio. Quando andammo a Rishikesh, Burgula Ramakrishna Rao si occupò della sistemazione dei devoti in pensioni o in case private. Quel giorno Swami Shivânanda e i suoi discepoli Mi chiesero di partecipare alle celebrazioni del suo settantacinquesimo compleanno. Io dissi loro che era il settantacinquesimo compleanno di Kuppuswami e non di Shivânanda. Kuppusvami era il suo nome prima che si facesse sannyâsin, dopodiché Kuppuswami non esisteva più; il suo nome e stato erano cambiati. Shivânanda era il nome che gli era stato dato nel momento in cui aveva preso il Sannyâsa. Da allora erano passati trentasette anni; quindi quello era il trentasettesimo compleanno di Shivananda e non il settantacinquesimo. Shivânanda disse che non aveva mai incontrato nessuno che gli impartisse una lezione spirituale in modo così convincente. Oggi le persone si basano solamente sul nome e sulla stato fisico, ma non riconoscono la base fondamentale. Solamente le Incarnazioni Divine possono mantenere lo stesso nome e stato dalla nascita alla morte. Molti commettono l’errore di identificarsi e rimanere attaccati ai loro nomi e stati precedenti anche dopo esser diventati rinuncianti.

La devozione di Burgula Ramakrishna Rao

Burgula Ramakrishna Rao era un grande devoto e un linguista rimarchevole conoscendo dodici lingue; era molto intelligente. Egli desiderava fare un pellegrinaggio a Badrinâth, Kedârnâth, con l’Avatâr Stesso. Quando era Governatore dell’Uttar Pradesh, chiese di fare questo pellegrinaggio sacro con Swami, per cui, avendo saputo di questo viaggio, circa duecento devoti, provenienti da tutte le parti dell’India, si unirono a noi per far parte del gruppo. Burgula Ramakrishna Rao e sua moglie avevano un cuore sacro; essi avevano l’abitudine di mangiare solamente dopo aver servito cibo e acqua a quei devoti. Tale era il loro spirito di sacrificio. Quando il suo attendente gli disse: “Signore, mangiate anche voi; serviremo noi l’acqua ai devoti”, egli replicò: “Ora io non sono il Governatore; sono il servitore di Swami.” In un’altra occasione, quando era Primo Ministro del precedente Stato di Hyderabad, Swami andò al Malakpet a Hyderabad. Migliaia di devoti erano in fila per avere il darshan di Swami; essi dovevano passare davanti a Swami uno dietro l’altro senza soffermarsi. I volontari li stavano facendo scorrere come si fa nel sancta santorum di Tirupati. Ora gli studenti devono comprendere quale fosse la purezza di cuore di Ramakrishna Rao. Anch’egli si mise in fila per il darshan di Swami, per cui l’Ispettore Generale della Polizia gli disse: “Signore, lei è il Primo Ministro, quindi non deve stare in fila. La prego di venire davanti.” Al che Ramakrishna Rao rispose: “Io posso essere il Primo Ministro dal punto di vista politico, ma sono un devoto comune dal punto di vista spirituale. Non sono un devoto così grande da avere il darshan del Signore personalmente.” Tale era la sua nobiltà.

La bellezza fisica è caduca

Dopo aver mantenuto la promessa fatta alla madre, Shankara andò a Kâshi assieme ai discepoli. Per la via, vide alcuni giovani che camminavano con delle ragazze e mise in guardia i discepoli dall’attrazione fisica, dicendo: “Oggigiorno questi giovani, uomini e donne, sono attratti dal corpo fisico che è colmo di ogni sorta di sporcizia ed emette cattivo odore. Sono trascinati dalla bellezza fisica, mentre non vedono la bellezza dell’Âtma interiore; questo non si addice a un essere umano. Perché tanta infatuazione per il corpo che cambia di momento in momento?” Il corpo fisico è destinato a disintegrarsi ed essere ridotto in cenere. In questa nascita umana, la gioventù è come le nuvole passeggere cha vanno e vengono. Descrivendo la natura effimera del corpo, Shankara cercò di far nascere un senso di distacco nel cuore delle persone. A questo proposito, i giovani uomini e donne dovrebbero stare molto attenti; non dovrebbero provare attrazione per il corpo fisico che è fatto di carne, sangue e ossa ed emette cattivo odore. Come si può parlare di bellezza in un corpo simile? È solamente un’illusione e non la realtà. (A questo punto, Swami racconta la storia di un principe che voleva sposare la figlia di un mercante per la sua bellezza. La ragazza, che era devota a Dio e voleva rimanere nubile, pensò un modo per liberarlo dalla sua infatuazione. Ella mandò a dire che avrebbe acconsentito a sposarlo se egli fosse stato ancora dell’avviso dopo una settimana. Intanto prese una serie di purganti, raccolse tutte le feci in un recipiente e andò a incontrare il principe. A quel punto, era molto emaciata e tutto il suo fascino giovanile era svanito. Ella disse al principe che la bellezza che egli aveva visto in lei era tutta contenuta nel recipiente. Il principe comprese la lezione, decise anche lui di rimanere scapolo e si consacrò al servizio di Dio.)

Il corpo è come una bolla nell’acqua, la mente è come una scimmia pazza e il corpo la segue. Âdi Shankara insegnò ai giovani a non subire l’attrazione per i piaceri dei sensi.

“Il corpo, che è fatto dei cinque elementi, è debole e destinato a disintegrarsi. Sebbene siano assegnati un centinaio di anni di vita, nessuno può ritenerli garantiti; si possono lasciare le spoglie mortali in qualunque momento, da bambini, da giovani o da vecchi. La morte è certa; quindi, prima che il corpo perisca, l’essere umano dovrebbe sforzarsi di conoscere la propria natura reale.”

Contemporaneamente, egli non sostenne mai che tutti i giovani dovessero farsi rinuncianti, ma li consigliò di compiere i loro doveri scrupolosamente e di passare il tempo in contemplazione di Dio. Shankara insegnava ciò che egli stesso praticava. I giovani di oggi son diventati schiavi dei sensi e vivono come animali. Per questo Âdi Shankara insegnò ai giovani la filosofia dell’Advaita in modo a essi comprensibile.

Brahman è il Principio Fondamentale della creazione

Bambini, ragazzi e ragazze!
Voi avrete visto al cinema dei film. L’Advaita si può imparare anche dal cinema. Quando entrate nella sala, da principio vedete soltanto lo schermo bianco, ma non sareste soddisfatti nel vederlo tale per tutto il tempo e aspettate ansiosamente che le immagini vi vengano proiettate; quando le figure appaiono sulla tela, siete contenti di guardare. È sempre la stessa figura che appare sullo schermo? No, le figure vanno e vengono, ma lo schermo non viene né va: è sempre lì. Lo schermo è permanente, mentre l’immagine è temporanea. In modo simile, il mondo (jagat) che viene e va è temporaneo, mentre Brahman, che non viene né va, è eterno. Per questo Âdi Shankara dichiarò: “Solamente Brahman è reale; il mondo è irreale.” Nella parola “jagat”, “ja” significa “venire” e “gat” sta per “andare”. Come le immagini appaiono e scompaiono sulla tela, il mondo viene e va sullo schermo di Brahman che è la Verità come lo schermo bianco, ma nessuno ama vedere sempre solamente lo schermo. Esso si guarda solo quando appaiono le immagini. Shankara disse anche: “Vishnu pervade l’intero universo.” Udendo ciò, gli studiosi erano confusi, in quanto egli aveva detto precedentemente che il mondo è irreale e poi che il mondo intero è pervaso da Vishnu. Essi si chiedevano quale di queste affermazioni fosse vera, ma Shankara affermò: “Entrambe sono vere.” Le immagini vanno e vengono.

“O Signore! Io sono prigioniero di questo ciclo di nascita e morte;
sperimento ripetutamente l’angoscia di essere nel ventre della madre.
Attraversare l’oceano della vita terrena è molto difficile.
Ti prego, portami al di là di questo oceano e concedimi la liberazione.”

Tutto è irreale eccetto Brahman. Ecco un esempio: voi guardate le immagini sulla tela del cinema; vedete solamente le immagini e non la tela. Dov’è la tela quando le immagini vengono proiettate? Essa diventa una parte delle immagini. Senza la tela, le immagini non si possono vedere; quindi la tela è il sottofondo. Similmente, il Principio Eterno della Divinità permea l’universo intero. Su questa base si dice che Vishnu permea tutto l’universo. La stessa verità è affermata dai Veda: “Il mondo intero è permeato di Dio.” Lo stesso Âtma è presente in tutti i nomi e tutte le forme; senza lo schermo dell’Âtma, l’immagine del mondo non si può vedere. Questo è il modo in cui Shankara comunicò il principio dell’Advaita al mondo. Qual è l’insegnamento essenziale dell’Advaita? Nel portare avanti la vita in questo effimero mondo fisico, si deve prendere come base il principio fondamentale: lo schermo di Brahman. Questo mondo irreale è proiettato sullo schermo di Brahman. Tutta la creazione è basata su questo Principio Fondamentale. Voi potete sperimentare il principio dell’unità solo quando comprendete la base fondamentale della creazione. Questa unità, detta Âtma, è presente in ognuno nella forma della coscienza. A questo Principio Atmico vengono dati vari nomi come Rama, Krishna, Buddha, Gesù, Nanak ecc. Tutti questi nomi e forme sono attribuiti alla Divinità dall’essere umano. Essi hanno nascita e morte, ma la Divinità no. La Divinità è onnipervadente. Shankara insegnò il principio dell’Advaita agli studiosi in modo elaborato, ma comprendere questa filosofia advaitica non è facile per tutti perché ogni individuo appare diverso dall’altro anche se il potere fondamentale è lo stesso in tutti ed è la forza vitale chiamata anche Aham. Che cos’è questa forza vitale? Il processo di inalazione ed esalazione è definito Principio del Soham e questa è la nostra forza vitale. Il corpo esiste grazie alla presenza del Principio del Soham di cui “So” indica “Quello” e “Ham” significa “Io”. “Quello tu sei” è l’insegnamento del Principio del Soham, chiamato anche Hamsa Gâyatrî.

Nel corpo umano ci sono tre canali sottili, cioè Idâ, Pingalâ e Sushumnâ, che sono legati alla forza vitale. L’inalazione è chiamata pûraka, l’esalazione recaka e la ritenzione kumbhaka. Queste tre formano l’aspetto essenziale del Prânâyâma che è uno dei passi dello yoga diffuso dal Saggio Patañjali. Esso consiste di otto passi: Yama, Niyama, Âsana, Prânâyâma, Pratyâhâra, Dhâranâ, Dhyâna, Samâdhi. Il processo di inalazione è indicato con “So” e quello di esalazione con “Ham”. Tra l’inalazione e l’esalazione c’è la ritenzione del respiro al centro delle sopracciglia. È qui che gli yogin si concentrano durante la meditazione e questa è la fonte della Saggezza Atmica. Gli antichi yogin esortarono l’essere umano a concentrarsi sulla base fondamentale di ogni cosa: l’Âtma. La confluenza del Gange, dello Yamunâ e del Sarasvatî è chiamata prayâg nel senso terreno, ma il vero Prayâg si trova dove i canali nervosi sottili Idâ, Pingalâ e Sushumnâ si incontrano. Quello è il centro tra le sopracciglia. Âdi Shankara paragonò la via del lavoro sacro e altruistico al Gange, la via dell’adorazione allo Yamunâ e quella della saggezza al Sarasvatî. Sarasvatî è antar vâhinî (invisibile). Allo stesso modo, la saggezza è l’antar vâhinî del lavoro e dell’adorazione. Noi viaggiamo in treno o in automobile per raggiungere Prayâg, ma la vera Prayâg non si può raggiungere con questi mezzi di trasporto. La stessa cosa fu dichiarata da Mirâ quando fu costretta a lasciare la sua casa. Ella cantò: “O mente! Vai sulle sponde del Gange e dello Yamunâ. La loro acqua è pura e farà in modo che il corpo sia fresco e sereno.” Il Signore Krishna risiede alla confluenza del Gange con lo Yamunâ nella forma dell’Âtma. Come appare Krishna?

“Egli indossa una veste di seta gialla
ed è ornato di una corona di penne di pavone
e di orecchini luccicanti.”

Tali sono i sacri sentimenti dei devoti dal cuore puro. Mirâ sperimentò l’unità con Krishna per mezzo della sua devozione profonda. Tale principio di unità fu insegnato da Shankara nello stesso modo ai giovani e ai vecchi; in questo modo, la filosofia Advaita fu gradualmente accettata da tutti.

L’espiazione di Shankara

Quando Mandana Mishra fu sconfitto nel confronto, Shankara insistette a che egli diventasse rinunciante in ossequio alle condizioni stipulate. Ubhayabharati, moglie di Mandana, era un’insigne studiosa. Ella disse a Shankara: “Tu conosci completamente tutte le Scritture. Io sono ardhânginî, la ‘dolce’ metà di mio marito, il che significa che sono metà del suo corpo. Quindi solamente quando avrai sconfitto anche me nel dibattito potrai chiedergli di farsi sannyâsin.” Shankara acconsentì e iniziò il dibattito con lei, nel corso del quale ella gli pose una domanda inerente al Dharma del capofamiglia secondo quanto affermato dal Kâma Shâstra (trattato sull’amore maritale). Egli non conosceva quella Scrittura, per cui le chiese un mese per trovare la risposta. In quel periodo, un re di nome Amaruka era morto e il suo corpo giaceva nel palazzo reale; Shankara, approfittando dell’occasione, entrò in quel corpo per mezzo del potere dello yoga. Vedendo il re resuscitato, la gente del regno fu piena di gioia e lo acclamò, ma, in effetti, quello non era il re, bensì Shankara in quel corpo. Egli cominciò la vita da capofamiglia proprio come il re, ma, ben presto, si rese conto di aver fatto un’azione non sacra che la sua coscienza non accettava. Pertanto, lasciò immediatamente quel corpo, tornò da Ubhayabhârati e rispose alla sua domanda, dopodiché partì per il Kashmir. In quel periodo, anche Shrînagar, nel Kashmîr, era un luogo di studiosi e intellettuali insigni e il re era il loro mecenate. Nel momento in cui Shankara entrò nella città, le porte del tempio della Madre Divina si chiusero. La gente tentò invano di aprirle. Molti studiosi dei Veda andarono lì a cantare inni di lode alla deità e a pregarLa di aprire le porte, per cui la Dea fu mossa dalla loro devozione. Si udì allora una voce eterea dire: “Shankara è un grande studioso e un âchârya (uno che fa quello che predica), ma ora si è macchiato. Solamente quando avrà espiato l’errore che ha commesso e che ha causato la colpa, le porte del tempio si apriranno.” Shankara cominciò allora a pregare intensamente la Madre Divina, ammise che entrare nel corpo del re e vivere da capofamiglia nel palazzo reale era stato un errore e, al fine di espiare, si sottopose a una dura penitenza per undici giorni rinunciando a mangiare e dormire. Il dodicesimo giorno, le porte del tempio si aprirono da sole. Tale era la determinazione di Shankara. L’oratore che ha parlato prima ha detto: “Tutti dovrebbero amare Swami: solamente tramite l’amore si è santificati.” Quale tipo d’amore si dovrebbe provare? Non l’amore terreno. Shankara si macchiò a causa di questo amore terreno, senza però farlo con alcuna intenzione malvagia. Il suo intento era solamente quello di dare una risposta a Ubhayabhârati. Se il vostro amore è legato a sentimenti atmici, non vi macchierete. Il vero Amore è relativo all’Âtma e non al corpo. L’attaccamento al Sé è vero Amore. L’Amore è Dio; vivete nell’Amore. Questo Amore vi darà la purezza di cuore. Ieri vi ho detto:

“Si può essere maestri dei Veda e dei Vedânta;
si può esser esperti nel comporre prosa e poesia,
ma se si manca di cuore puro ci si rovinerà.
Non dimenticate mai queste parole di saggezza.”

Non è la conoscenza dei Veda, delle Scritture e dei Purâna a essere importante. L’importante è che qualunque cosa compiate con purezza di cuore sia buona, pura, sacra e divina. Non fate alcuna azione con il desiderio dei frutti; amate tutti con il sentimento che l’Âtma è presente in voi e in loro: questo è il principio dell’Amore vero. Prendendo questo Amore come base del suo insegnamento, Shankara trasmise la filosofia dell’Advaita a tutto il mondo. Nel dare questo insegnamento, egli ebbe attenzione speciale per giovani e bambini, ma voi dovete essere consapevoli del fatto che lo spirito di distacco non si può maturare semplicemente ascoltando dei discorsi spirituali. Un importante uomo d’affari soleva andare ad ascoltare un sant’uomo colto che teneva dei discorsi sui testi mitologici, il quale un giorno disse: “Tutti voi dovete ascoltare questi discorsi per tutti i giorni della settimana; ciò vi darà pieno merito.” L’uomo d’affari fece così per cinque giorni regolarmente, ma il sesto giorno dovette assentarsi per un lavoro urgente, per cui chiamò il figlio e gli disse: “Il sant’uomo mi ha detto che avrei guadagnato molto merito nell’assistere ai suoi discorsi per sette giorni, ma domani è necessario che io mi assenti. Quindi dovresti andare tu ad ascoltare la sua lezione al mio posto perché non voglio perdere quel merito non partecipando…” Poco dopo andò nella sua stanza e cominciò a pensare: “Quel sant’uomo impartisce l’insegnamento vedico secondo cui l’essere umano deve rinunciare al mondo e concentrarsi solamente su Dio ed esorta tutti a non essere attaccati al corpo rimanendo così intrappolati nel samsâra. Che cosa accadrà se mio figlio diverrà un rinunciante ascoltando i suoi insegnamenti?” Pertanto andò immediatamente dall’uomo e gli disse rispettosamente: “Domani verrà mio figlio ad assistere al vostro discorso. Vi prego di non sottolineare troppo l’importanza del valore della rinuncia. Parlate piuttosto del significato dell’amore per il mondo.” Il sant’uomo replicò: “Tu hai ascoltato i miei discorsi per cinque giorni. Quanto distacco e quanta rinuncia hai maturato? Com’è allora possibile che tuo figlio maturi lo spirito di rinuncia ascoltandomi un giorno solo? Non è possibile.”

Il vero significato della rinuncia

Liberarsi delle montagne di colpe accumulate nel corso di innumerevoli vite è molto difficile. Quindi Shankara era deciso a stimolare il senso del distacco nei bambini del circondario, mondando i loro cuori ed esponendoli ripetutamente al suo insegnamento. I recipienti che si usano per i matrimoni possono esser puliti una volta ogni tanto, ma il bicchiere che viene usato tutti i giorni deve essere pulito quotidianamente. In modo simile, i giovani devono sottoporsi ripetutamente a questo processo di pulizia per maturare il distacco. In questo modo, Shankara stimolò lo spirito di vairâgya (distacco) nei giovani. Che cosa s’intende per vairâgya? Ve l’ho detto altre volte: vorrebbe qualcuno mangiare il cibo che ha vomitato? Dovreste acquisire tanta avversione per i piaceri terreni quanta ne avete per il cibo vomitato. Non dite: “Tenterò.” Tentare è una cosa arida. Lo dovete fare, lo dovete fare; è solamente per il vostro bene. Nelle cose e nelle relazioni terrene non c’è felicità; qualunque sia il vostro guadagno, qualunque sia la felicità che sperimentate in questo mondo, da esso dovete comunque andar via e lasciarli. Quindi aggrappatevi a Dio con forza: Egli è il vostro vero ed eterno salvatore. Dovete avere la forte determinazione di stare attaccati a Lui: solamente allora la vostra vita sarà redenta. Esercitare il distacco per qualche tempo e tornare ad attaccarvi alle cose del mondo non serve a niente. Una volta abbandonati i desideri terreni, gettateli via per sempre. La Divinità si manifesterà in voi quando avrete questo senso di distacco supremo; questa è la verità e nient’altro che la verità. Gli insegnamenti di Shankara sul distacco hanno fatto un gran bene all’umanità. Oggi, molti studiosi diffondono il principio dell’Advaita, ma non lo mettono in pratica. Insegnare semplicemente non è sufficiente; dovete praticare. La mente deve immergersi nei sentimenti di Advaita e il corpo deve tradurli in azione. Questo è il vero senso del distacco e solamente allora potete raggiungere Brahman che è Verità, Saggezza e Infinità. Soltanto Dio è reale; tutto il resto è irreale.

Bhagavân ha concluso il Discorso con il bhajan: “Satyam jñânam anantam brahmâ…”

Prashânti Nilayam, 9 settembre 1996, Sai Kulwant Hall

(Da “Sanâtana Sârathi”, agosto 2015)

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