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Discorsi Divini di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

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discorsi:2000:20000524

20000524 - 24 maggio

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

I PREDILETTI DA DIO

Anupekshah shucir daksha
udâsîno gata-vyathah
sarvârambha-parityâgî
yo mad-bhaktah sa me priyah

Colui che nulla s’aspetta, ch’è puro, abile nell’azione,
distaccato da tutto, non agitato, che ha rinunciato a ogni iniziativa,
quello, Mio devoto, Mi è caro. (BG XII, 16)

Libertà da ogni aspettativa

Incarnazioni dell’amore, Dio ama coloro che possiedono virtù quali l’anapekshâ, la qualità di chi non si aspetta niente, non ha attese (pekshâ) di alcun genere. Ma sarà possibile all’uomo, che è preso nella rete di un corpo fisico implicante un’attività sensoriale e mentale, essere sempre senza desideri? No, non ci riesce. L’uomo deve per forza aspettarsi qualcosa. Come sono i suoi desideri, le sue attese? Anche nello Dvâpara Yuga, Krishna affermò: «Tutte le azioni rette sono divine». Che tipo di desideri dovrebbe avere un uomo? Fra tutti i desideri, i più elevati sono quelli che spingono alla rinuncia e al sacrificio. È importante compiere azioni dharmiche, ed è essenziale il desiderio di Dio.

Eppure i desideri degli uomini sono così differenti: per alcuni sono retti, per altri preponderanti, per altri ancora sono una combinazione di giusto e preponderante; ma nessuno può dire quale sia la linea di demarcazione tra i due.

Se Iddio ama coloro che sono liberi da aspettative e da desideri, che fare per trovarsi in quello stato di libertà? Quando si agisce per il piacere di Dio, tutte le azioni e i doveri divengono automaticamente giusti, vanno ad aggiungersi alle opere che non vivono di attese. Anapekshâ non significa essere senza desideri, ma offrire ogni azione a Dio, con l’intenzione che dev’essere a Lui gradita. Questo è il senso che rende giustizia alla parola anapekshâ. È naturale che Dio ami coloro le cui azioni sono libere da attese di qualche risultato.

Pulizia e purezza

Altra virtù che attira l’amore di Dio è la purezza, shuci. Che cosa significa shuci? Pulizia. Esteriore o interiore? Entrambe sono necessarie. Dio ama la pulizia e la purezza.

Cleanliness is Godliness.
La pulizia è Divinità.

Se passiamo sopra alla pulizia esteriore, che sarà di quella interiore? Dio è presente sia fuori che dentro, ma è dentro di noi che dobbiamo comprendere Dio. Per quale motivo la zuppa che avete preparato in una pentola smaltata, dopo qualche tempo si guasta, diventa velenosa? Perché è di un metallo di bassa lega e non è stagnata all’interno. Tutti i cibi cotti in un contenitore non stagnato andranno a male e si avveleneranno. Il corpo è come un contenitore smaltato (Swami corregge il traduttore: “un recipiente d’ottone”), a cui bisogna applicare lo stagno dell’amore, in modo che niente in esso si deteriori. Così, bisogna essere puliti fuori e puri dentro.

Che cosa si deve intendere per pulizia esteriore? Quando si fa del servizio al prossimo, si rende il culto più gradito a Dio: soccorrere gli altri. Questo è l’unico modo per compiere opere senza ego, mentre si assicura anche la pulizia esteriore. Le azioni egoistiche non sono pure, né pulite.

Determinazione

La terza virtù preferita dal Divino è dâksha, la determinazione. Come va intesa la determinazione? Qualsiasi cosa vogliate portare a termine, dovete proporvelo con decisione, senza darvi pace finché non l’abbiate ultimata. Questa è la determinazione che dovete avere. Ogni tanto io vi dico:

Se avete deciso qualcosa, non mollate la presa finché non l’abbiate adempiuta.
Questa è determinazione.
Se avete un desiderio, non rassegnatevi finché non l’abbiate soddisfatto.
Questa è determinazione.
Se avete chiesto qualcosa, non andatevene finché non l’abbiate ottenuta.
Questa è determinazione.
Se avete formulato un pensiero, non lasciatelo finché non sarà divenuto realtà.
Questa è determinazione.
Alla fine che accadrà?
Dio benedirà la vostra esasperazione, il vostro disgusto, oppure dovrete chiedere persino dopo essere svenuti.

Tutto qui, ma se ci tornate sopra, non avete la qualità del devoto. Che significa dunque determinazione? Io debbo raggiungere Dio, debbo vedere Dio, debbo ricevere la Sua Grazia. Dovete essere molto tenaci nel proposito che vi porta a voler Dio. Siate con Lui. Dio ama illimitatamente il devoto che è animato da un tale proposito.

Non attaccamento

Altra virtù amata da Dio è il distacco, udâsîna, l’indifferenza verso le cose materiali. Udâsîna significa che farete tutto quanto vi compete senza essere attaccati ai lavori che vi sono stati assegnati. Dedicatevi ad opere di servizio, ma non aspettatevi ricompense né risultati. Non dovreste mai attendervi il conforto del successo dal vostro operato. E non è tutto.

Riguardo alle organizzazioni, dobbiamo guardarci bene dal cercare freneticamente di farci un nome o di aver fama. Non dobbiamo cedere a cortesie e ad offerte di ospitalità. Non vi sfiori mai il desiderio di vedere il vostro nome pubblicato su un giornale per il lavoro che fate; se aveste una speranza così vanitosa, sciupereste tutta la vostra opera. Perciò, se vi aspettate dei risultati, dei successi, tutto il vostro lavoro andrà perduto. Dedicatevi ad attività disinteressate e, che abbiano successo o no, mantenetevi indifferenti e siatene comunque felici.

Indifferenza per il passato o il futuro

Gatâvyatah, il non covare pensieri sul passato o sul futuro, è una virtù che richiede pure determinazione. Perché mai preoccuparsi? Per quanto intensi siano i vostri pensieri, il passato non lo ricupererete più; né potrete far decisioni per il futuro, che è incerto. Avete in mente di fare qualcosa domani, ma chi può assicurarvi che siate ancora in vita? Ne siete proprio sicuri? Non è proprio possibile affermarlo con certezza. Dunque, perché pensare al futuro, se è incerto? Il futuro è contenuto nel grembo del tempo e vi precede; ciò che sta racchiuso nel seno del tempo non può essere rivelato prima. Il passato è passato ed è stato travolto dal passaggio del tempo: non lo riavrete mai più, nemmeno un solo istante.

Non si può recuperare o riguadagnare il passato, e il futuro ancora non vi appartiene. Dunque, perché preoccuparsi? Perché pensarci?

Si sa, il pensare è un’attività indispensabile all’uomo; egli non riesce un solo momento a rimanere senza pensieri. Visto che il fluire dei pensieri è irrinunciabile, non lasciate libero corso a quelli basati sul passato o sul futuro. Trattenete solo quelli che riguardano il presente, nel quale si trovano e il passato e il futuro.

L’albero di ieri è il seme di oggi e il seme di oggi sarà l’albero di domani. C’è stato un albero in passato; ci sarà un albero anche in futuro. Ma, al presente, c’è un seme. Quindi, il presente è la base da cui si deduce il passato e si prepara il futuro. Pensate ora al presente; concentratevi sul presente. Non fate del male ad alcuno, non offendete nessuno, agite con l’orologio alla mano. Mantenete il vostro sguardo sul presente, non preoccupatevi del futuro. Il futuro dipenderà infallibilmente da come vi sarete comportati al presente.

Umiltà e semplicità di costumi

Sarvârambha parityage è un’altra qualità che Dio ama. Chi è un sarva arambha? Uno che ha rinunciato a tutto e non incomincia niente? Il vero rinunciante è una persona stabile, che non ha manie di grandezza e non mira a farsi conoscere. Dio prende le distanze da ciò che è sfoggio e ostentazione. Guardatevi dalle vanterie; la vanità è ragiasica, dipende dall’e­mo­tività, da cui parte ogni sorta di desideri. Farsi pubblicità è una tendenza tipica del mondo. Non datevi tanto da fare per gli obiet­tivi del mondo, che hanno la durata del presente, ma non hanno attinenza con tutti e tre i periodi del tempo. Non cedete mai all’osten­tazione e al vanto. «Colui che ama l’austerità e la semplicità Mi è vicino», dice Krishna.

Al giorno d’oggi è molto diffusa l’abitudine a far mostra di sé. La gente è disposta a spendere 500 rupie per far pubblicare sul giornale la notizia che ha offerto 5 rupie! 500 rupie per farsi pubblicità! Un uomo che fa del servizio genuino non vorrà mai che si sappia in giro, non vuole propaganda, mentre chi brama farsi conoscere ne ha bisogno. Perché tanti titoli davanti al nome? Perché? Non perdetevi in pubblicità ed espressioni vanitose, poiché, quanto più rimarrete vincolati alle esteriorità, tanto meno godrete la beatitudine del Sé. E, se non avrete l’esperienza del Sé beatifico, come pensate di guadagnarvi la Grazia di Dio, alla quale dovete aspirare per ogni aspetto della vita? Solo se avrete quest’ansia sperimenterete la vita nella sua autentica dimensione spirituale.

La giusta azione: l’amore

Incarnazioni dell’amore, se volete accogliere l’amore di Dio, dovete agire in sintonia con esso; ma, se desiderate la Sua Grazia prescindendo dal compiere azioni giuste, come potrete aspettarvi di avere quell’amore? Sarà mai felice chi sta sempre ad aspettare qualcosa? Dedicatevi a quelle attività in cui non c’è attesa per i risultati, e compitele con serenità: la beatitudine sarà la vostra ricompensa. Se agite in contrasto con i comandi divini, avrete tutto contro.

Yat bhavam, tat bhavati: «L’azione segue il pensiero». Quindi, se volete essere i destinatari dell’Amore di Dio, dovete agire in armonia con quell’Amore. In caso contrario potrete assecondare qualche altro proposito, seguire voglie particolari e direzioni diverse. In realtà, siete assolutamente liberi di impegnarvi su qualsiasi fronte vogliate conquistare.

Questione d’affari

Negli affari del mondo, se desiderate qualcosa, dovete a vostra volta offrire in cambio qualcos’altro, non è così? L’unità è quanto di più importante ci sia in ogni campo. Se andate a far spesa al mercato e volete comprare un asciugamano, il negoziante, che vi ha chiesto 20 rupie, ve lo getta addosso solo dopo che avete tirato fuori dal portafoglio le 20 rupie. Se non lo pagate, l’asciugamano non lo portate a casa.

Così sono anche gli affari in campo spirituale. Che genere di affari sono? Affari divini. Se seguite i comandamenti di Dio, che sono pieni di amore, avrete in cambio amore e Dio stesso vi amerà. L’amore di Dio non conosce limiti, non ha bisogno di contratti, né di clausole. C’è una sola regola: dare e ricevere.

Offrite al prossimo qualsiasi tipo di servizio e riceverete amore. Se non vi dedicate al servizio, come potete aspettarvi di essere amati? Se volete ricevere l’amore di Dio, siate disinteressati, liberi da desideri, e offrite ogni azione a Dio. Non serve che rinunciate a qualche impegno. Fate il vostro dovere: studiate e imparate. In che modo? Studiate per piacere a Dio e fate il vostro lavoro, qualsiasi lavoro, con lo stesso spirito, cioè con sentimenti divini.

La giusta affrancatura

Una volta che avete deciso di offrire la vostra azione a Dio, dovreste porvi la domanda: «Piacerà o non piacerà a Dio quest’azione?» Se il vostro operato asseconda dei folli capricci, pensate che Dio l’accetti? In ogni azione ci dovrebbe essere un marchio, un sigillo, perché abbia valore. Dio deve riconoscere per buona l’azione. Una lettera raggiungerà un destinatario lontanissimo se è munita del suo francobollo, ma se manca il francobollo, quand’anche aveste scritto l’indirizzo giusto, finirà al macero. Sulla busta delle vostre azioni dovete apporre il francobollo del Divino Amore. Quando avrete applicato la giusta affrancatura sulla busta del vostro corpo, che è il mezzo dell’azione, riceverete la Grazia di Dio.

Costanza e abbandono

Libertà da ogni attesa, pulizia e purezza, determinazione, distacco, attenzione al presente, umiltà e semplicità, sono tutte qualità che vanno sviluppate giorno dopo giorno. Non vi sfiori mai il dubbio che sia troppo difficile acquisirle o che non ne siate capaci.

A forza di sfregare due legni, il fuoco si accende;
a forza di sbattere la panna, si forma il burro.
Insistendo nella ricerca spirituale,
arriva il momento dell’esperienza di Dio.

Tat tvam: «Tu sei Quello». Ecco il risultato della ricerca spirituale: «Tu sei Quello, Tu sei Quello, Tu sei Quello». Tat tvam. Se non sbatti la panna, non puoi ottenere il burro; se non sfreghi i legni, non produci il fuoco. Il fuoco è dentro il legno stesso, sebbene non lo vediate. Ma, non appena seguite il giusto procedimento, esso appare.

Se dunque vogliamo essere amati da Dio, dobbiamo offrire tutto a Lui, abbandonandoGli ogni cosa, e facendo in modo che tutto sia di Suo gradimento. Lo spirito di totale abbandono è cosa gradita a Dio. Abbandonarsi non significa che ci sia uno che dà e uno che riceve. Chi dà e chi riceve sono entrambi un unico aspetto della medesima realtà. Non c’è un dare, né un avere. Dovreste rendervi conto di questa unità o unicità. Pensate a Dio e Lo sperimenterete.

Felicità dalla sofferenza

Studenti, ci son cose difficili per voi, ma sappiate che laddove ci sono difficoltà c’è maggior felicità. Se vi soffermate a considerare una difficoltà dopo l’altra, non sarete mai felici. C’è una massima scritturistica che dice: «Dalla felicità non si ha felicità». Solo le difficoltà sono foriere di gioia. Quando non ci sono tribolazioni, non c’è nemmeno felicità. Battiamoci dunque con audacia.

Se la luce è tanto preziosa è perché c’è il buio; se il cibo è indispensabile è perché esiste la fame. Se non avessimo appetito, che valore avrebbe il cibo per noi? Quindi, dobbiamo scoprire i giusti sapori del cibo. Che cos’è che vi fa riconoscere il giusto sapore d’un cibo? L’amore che c’è dentro di voi e che dovrebbe essere in armonia con l’amore di Dio. Quando in voi ci sarà un amore incontaminato, avrete l’amore di Dio. Dio perdona qualsiasi vostro errore abbiate commesso; ma, se Dio vi perdona, non dovete approfittarne continuando a ripetere lo sbaglio. Abbiate buona cura di tutto quanto avete già ricevuto!

La devozione delle gopî

Al tempo di Krishna, le gopî non avevano altro pensiero che Lui. Una volta che Krishna si trasferì a Mathurâ, esse si sentirono abbattute e inutili. Il loro amore per il Signore era intenso, e non c’era attività da loro compiuta che non fosse accompagnata dal canto del Suo nome. C’era una gopika che portava del latte e della cagliata al bazar; invece di gridare per strada “Latte! Cagliata! Ghî!” per vendere i suoi prodotti, non faceva altro che ripetere i vari nomi di Krishna: “Govinda! Dhamo Dhara! Madhareti!” Così facendo, si dimenticò completamente di essere uscita per vendere.

Un’altra gopika disse: «Come faccio a vedere Krishna, quand’Egli si presenta? Com’è possibile pensare a Lui? Impossibile. Tu sei in ognuno, e tuttavia non appari, sei nascosto. Sebbene nascosto, noi riusciamo a immaginarTi e Ti vediamo anche se sei nascosto. Sei immanifesto, eppure Ti vediamo!»

Riusciamo a vederTi, o Krishna?
Sei più piccolo di un atomo, più grande dell’Universo.
Sei racchiuso in 8.400.000 differenti specie di vita,
dalla minuscola alla mastodontica.
Come facciamo a vederTi?

Voi fate parte delle 8.400.000 specie di esseri viventi. Tale calcolo fu stimato durante il periodo del Treta-Yuga, per riaffermare l’onni­pre­sen­za di Dio in tutti gli esseri. In verità, Egli è l’Uno che si manifesta nei molti. Come sarà la vostra adorazione? Che nome avrà l’oggetto del vostro culto? Nomi e forme sono creati dal vostro pensiero, ma Dio è la Verità Unica.

Piena fede

Guardate qui: un fiore, una stoffa, un cuscino imbottito; ognuno di essi è qualcosa di diverso, ma tutti hanno in comune il fatto di esistere. Ciascuna cosa “è”: questa è verità.

Dio esiste, ma voi non sapete vederLo.
Dio è sempre presente: è Esistenza.
Dio è.

Abbiate piena fede nell’esistenza di Dio, la Realtà, e ne avrete esperienza diretta. Voi avete piena fede in vostra madre? Ne dubitate forse? Vi chiedete se sia la vostra vera madre? No! E vi chiedete forse la stessa cosa per vostro padre? Nutrite forse dei dubbi su di lui? No! Voi che credete in tutto ciò che è del mondo, perché non credete o accettate ciò che appartiene allo Spirito? Ecco dove sta il vostro errore, la vostra debolezza: le cose del mondo hanno un nome e una forma.

I Quattro Veda nei figli di Dasharatha

Il nostro amministratore ha parlato a lungo del Râmâyana. Râma, Lakshmana, Bharata e Shatrughna simboleggiano i Quattro Veda, che hanno svolto il loro ruolo nella reggia di Dasharatha. Râma rappresenta il Rig-Veda; Bharata lo Yajur-Veda; Lakshmana il Sâma-Veda; Shatrughna l’Atharvana-Veda. Tutti i Quattro Veda vivevano nel palazzo di Dasharatha. Solamente Râma, nella Sua manifestazione fisica, fu in grado di salvaguardare il sacrificio di Vishvâmitra, il saggio che ebbe piena fiducia in Râma e che si presentò da Dasharatha. Questi, felice di vederlo, gli chiese: «Swami, qual buon vento ti porta qui?» «Sarai in grado di svolgere il mio compito?» chiese Vishvâmitra. «Senz’altro, lo farò», promise il re.

Fare una promessa,
senza considerare le implicazioni in bene o in male
e buttandosi a capofitto senza analizzare a fondo
ciò che potrebbe accadere, può essere pericoloso.

Prima di impegnarvi in una promessa, dovete discernere tra i vantaggi e gli svantaggi. Dasharatha promise per la sua fiducia nei saggi. Credeva a tutti i saggi ed alla buona gente; perciò fece la sua promessa. Allora Vishvâmitra disse: «Dasharatha, mandami Râma, affinché mi stia accanto per proteggere la celebrazione del sacrificio». Dasharatha si sentì abbattuto. Aveva celebrato riti sacri, tutti finalizzati ad avere un figlio come Râma. Non era preparato a mandarlo nella foresta, e Râma, che non aveva mai visto dei demoni, si sarebbe potuto atterrire incontrandone nella foresta. Così, incominciò a tentennare tra dubbi, pro e contro, fra mille pensieri.

Di fronte ai suoi dubbi, Vishvâmitra lo riprese: «Tu non conosci tuo figlio. Tu non sai che tuo figlio è Dio; non considerarlo semplicemente come un tuo figlio di carne; è affetto umano che ti lega a lui. Liberati da quel sentimento e abbi la più grande devozione». Fece poi venire Vasishta, il quale si presentò al re e disse: «O re Dasharatha, sai perché mi trovo qui a palazzo in qualità di sacerdote? Conosci la ragione per cui esercito qui come sacerdote? Ebbene, non sono qui per niente e, di certo, nemmeno per una posizione, né per brama di potere. Io son qui perché sapevo che Dio sarebbe nato nella tua reggia. Volevo vedere quel ragazzo; volevo stare un po’ di tempo con lui e godere dello stato di beatitudine che si prova stando in Sua compagnia. Non m’interessano né denaro, né ricchezze, né prestigio. Perché dubiti tu? Mandalo pure!» Con gran sofferenza, Dasharatha accettò di inviare Râma.

Il potere dell’illusione

Vishvâmitra significa uno che è amico dell’Universo; infatti, insegnò il sacro mantra della Gâyatrî. Vishvâmitra fu colui che fece penitenze, ebbe ogni potere; lui fu il precettore che prese con sé Râma e Laskhmana. Giunti che furono alle rive del fiume Sarayu, disse: «Figlioli, Râma e Lakshmana, offrite le vostre preghiere. Stiamo per arrivare al luogo dove celebreremo lo yajña. Perciò, incontrerete dei diavoli, il cui frastuono sarà spaventoso. Potreste aver paura. Venite vicino a me!» Così dicendo, li fece sedere accanto a sé e li inizò a due mantra: Bala (forza) e abala (debolezza).

Che grande saggio! Egli aveva ricordato a Dasharatha che Râma è Dio, ma, giunto che fu alle rive del fiume, si dimenticò di quella realtà e, considerando Râma un ragazzo, si mise ad insegnarGli i mantra. Perfino i saggi o i santi, di fronte ad una forma fisica, cadono nel dubbio; non è nella loro natura dubitare, ma li colpisce l’illusione e perdono di vista la Realtà: bhrama, l’illusione, vi fa dimenticare Brahma, Dio. Dal misero karma delle azioni passate fuoriesce l’illusione, mentre da un passato virtuoso nasce la conoscenza del Divino. Vishvâmitra, pur essendo un gran saggio, fu vittima del potere del­l’illusione.

Anche a voi possono accadere le stesse cose. A volte, nella vita anche voi dubitate: che cos’è la Divinità? Che cos’è l’umanità? Che cos’è la crudeltà? Dovreste saperlo. La Divinità è amore; l’umanità è rettitudine; la crudeltà è la natura dei demoni. Perciò, vedrete Dio nell’amore. Non esiste altro modo. Non potete sperimentare il Divino vivendo fra piaceri e soldi. Molti di voi lo sanno.

Il peso di Krishna

Satyabhâmâ voleva Krishna tutto per sé; non voleva mai lasciarLo andare da nessuna parte e Lo voleva sempre con sé. Un giorno chiese a Nârada di escogitare un piano perché fosse esclusivamente suo. Nârada, che era stato iniziato agli alti gradi della vita spirituale, pensò che bisognava distruggere l’ego di Satyabhâmâ. Per far questo, studiò uno stratagemma magistrale.

«Madre Satyabhâmâ — le disse — hai abbastanza oro per controbilanciare il peso di Krishna?» La donna rispose: «Dispongo persino della gemma shamantaka, da cui posso attingere qualsiasi tesoro voglia. Non ho il minimo dubbio che potrò avere tutto il peso che mi serve. Io posso!» Chiese dunque di vedere Krishna, che fu posto su un piatto della bilancia. Sull’altro piatto vennero depositate tutte le ricchezze di Satyabhâmâ. Ma la bilancia non si mosse d’un dito. Satyabhâmâ incominciò a temere. Ormai aveva messo tutte le gemme che aveva. Alla fine mise sul piatto la magica gemma shamantaka, ma sembrò che non pesasse nulla.

Corse allora da Rukminî e scoppiò in pianto: «O sorella mia, mia cara sorella maggiore!» Era la prima volta che si rivolgeva alla sorella, e pur essendo il giorno del compleanno di Rukminî, Satyabhâmâ non voleva che Krishna stesse con lei; non era disposta a dividere in nessun momento Krishna con Rukminî.

Allora, corse dalla sorella maggiore, e Rukminî ne ebbe compassione e le disse: «Sorellina, perché sei triste? Che cos’è successo?» Satyabhâmâ raccontò tutto l’accaduto: «È stato tutto un piano di Nârada. Sono in cattive acque». Rukminî intanto girava intorno a una pianta di tulasî, ne colse tre foglie unite dallo stesso stelo (dalam) e lasciò quel posto insieme a Satyabhâmâ. Si recarono da Nârada che stava a guardare, ridendo dentro di sé. Anche Krishna sorrideva.[4] «Son pronto ad andare da qualsiasi persona alla quale decidiate di venderMi».

Rukminî prese la parola: «Nârada, come si fa a pesare Krishna, se il Suo nome corrisponde alla Sua forma? Nome e forma sono così strettamente correlati che l’uno pesa quanto l’altro». Poi pronunciò il nome di Krishna. Credete che Nârada se ne fosse rimasto tranquillo? Certo che no! «Come puoi pesare un nome che non ha forma — protestò — al posto della piena forma di Krishna che c’è qui? È logico che per la forma fisica di Krishna sia necessario usare la forma fisica del denaro, della ricchezza. Satyabhâmâ, infatti, ha messo sul piatto tutti i suoi averi, ma senza riuscire a pesarlo. Che ci metterai ora tu?» E Rukminî:

Se è vero che basta offrire con devozione
una foglia, un fiore, un frutto, dell’acqua per compiacerTi,
possa questa fogliolina di tulasî misurare il Tuo peso.

Non appena fu posta la foglia di tulasî sul piatto della bilancia, Krishna fu sollevato persino più in alto di quanto richiedesse il Suo peso. Allora Nârada esclamò: «Madre, il giusto peso per la forma di Krishna è il Suo nome; ma questa foglia di tulasî persino lo supera!»

Volete dunque pesare Dio? Fatelo con l’amore. Solo l’amore può esaltare persino una fogliolina di tulasî. Se volete piacere a Dio, non serve avere ricchezze e denaro, perché è l’amore che piace a Dio e, senza amore, non c’è ricchezza. Il peso di Dio può essere equilibrato solo dal vostro amore, ed è allora che Dio vi ama e si mette dalla vostra parte per equilibrarvi, per unirsi a voi sullo stesso piatto della bilancia. Nessun’altra cosa può fare il peso di Dio. Se volete meritarvi l’amore di Dio, seguite i Suoi comandi.

Se sei libero dal desiderio, puro, deciso, distaccato,
imperturbabile, umile e semplice, sarai Mio.

Studiate la natura di Dio e, una volta conosciuta, comportatevi in conformità ad essa.

Incarnazioni dell’amore, che fare per rafforzare la fede in Dio? Come aumentare la propria fede? La fede non è una materia che si apprende a scuola, ma si acquisisce naturalmente. Ne riparleremo domani.

(Bhajan: “Bhava bhaya harana”)

Brindâvan, Sai Ramesh Hall, 24 maggio 2000, pm.

Corso Estivo 2000

Versione integrale.

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