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Discorsi Divini di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

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discorsi:2000:20000525

20000525 - 25 maggio

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

LA FORZA DELLA PAZIENZA

Ha la forma dell’amore:
Brahma, Dio, è pieno d’amore.
L’amore deve stare con l’amore.
Se dunque l’amore è intenso,
si ha il diritto di sperimentare
lo stato di non dualismo, l’advaita.

La forza dell’amore

Incarnazioni del Divino Amore, studenti e studentesse, il risultato dell’amore è il sacrificio. L’amore non conosce odio, percorre ogni anfratto dell’immenso Universo e può perfino avvicinarvi una persona lontanissima. È l’amore che converte l’umanità in divinità: un essere umano dalle caratteristiche animalesche può mediante l’amore essere trasformato in un essere divino. Tuttavia, ci sono svariate direzioni che l’amore può prendere: si ama la madre, il padre, i fratelli, gli yoghi, i monaci questuanti; si ama chi ha rinunciato a tutto e chi sacrifica la propria vita. Ma in tutti questi amori c’è sempre una traccia di egoismo.

Soltanto l’amore di Dio è assolutamente scevro da egoismo ed è a questo tipo d’amore che bisogna dirigere il pensiero, la riflessione, la contemplazione, in spirito di abbandono.

Pazienza

La principale virtù che si accompagna all’amore è la pazienza, che non dovrebbe mai mancare a nessuno. La pazienza, o kshamâ, non si acquisisce dai libri; non può essere trasmessa da un insegnante, né regalata. Lo spirito di sopportazione deve emergere nei momenti di difficoltà, contrarietà, tristezza e angosce d’ogni tipo; è in quelle circostanze che serve uno sforzo personale per avere pazienza. Non ci sono altri modi.

Se manca la pazienza, la vita d’un uomo rimane aperta all’intrusione di molti altri vizi; prendono piede, ad esempio, l’odio e l’invidia. In verità, il Divino ama appoggiarsi sull’alleanza fra amore e pazienza. La pazienza è verità e giustizia; è il Veda e tutto ciò che nella vita è vero, sacro come le Scritture, nobile, elevato, sacrificale, piacevole in tutti i mondi.

Grandezza della pazienza

Nei nostri testi sacri, quali il Mahâbhârata e il Bhâgavatam, si possono trovare molti esempi sulle difficoltà che sopraggiungono quando si perde la pazienza. Il primo ostacolo che si presenta è la gelosia, e voi tutti ben sapete come una splendida ed aurea esistenza vada in rovina a causa della gelosia. Pensate a Râvana, il quale, dopo aver conquistato la ricca, prospera e lussureggiante isola di Lankâ, la ridusse in cenere con le sue stesse mani, a causa della sua impazienza. La perdita della pazienza è la rovina di molte famiglie, che soffocano tra gli innumerevoli problemi e le vampate di fuoco che disintegrano ogni senso umano. La pazienza è una protezione per il tempo: il giorno in cui muore il perdono, nascono la gelosia e l’odio.

Quando manca la tolleranza, tutte le nazioni ne soffrono; tra di esse si creano molte controversie che dilagano in conflitti e lotte intestine, comportandosi in forme isolate e degeneranti. La maggior parte dei problemi esistenti tra gli stati odierni dipende dalla perdita della pazienza. Nemmeno grandi aspiranti spirituali, come yoghi ed asceti, sono sfuggiti a questa decadenza per mancanza di pazienza. E ci furono dei re che si ridussero alla condizione di mendicanti per la stessa ragione. Senza pazienza, lo yogî si trasforma in rogi (malato). La pratica spirituale ha bisogno di pazienza per progredire; oggi però, per mancanza di pazienza, molti regrediscono. In una parola, la pazienza è il principio essenziale della vita.

Se c’è del fuoco dove c’è del fumo;
se c’è un autista dove parte un motore;
se il semaforo è regolato da automatismi,
non ci sarà un Creatore al di là della Creazione?

Il Cosmo non avrà il suo Autore? Perciò, la pazienza è la forza che regge tutto il Creato. Il giorno in cui sparisse kshamâ, la pazienza, prenderebbe il comando kshaya, il declino. Le nazioni sono rimaste senza fama, prestigio, dignità e reputazione per aver perduto la pazienza.

Bisogno di pazienza e necessità del dolore

In effetti, sono i momenti di maggiore difficoltà che richiedono più pazienza; in caso contrario, subentra uno stato di debolezza, che a sua volta apre un varco al vizio, ai sentimenti e ai pensieri negativi. L’uomo, che avrebbe la possibilità di essere un gran devoto, se privo di pazienza, diventa un essere insignificante e sciocco.

Bisogna innanzitutto cercare di accrescere il proprio spirito di tolleranza e pazienza; per sviluppare la qualità della pazienza dobbiamo benedire il sopraggiungere delle difficoltà, poiché solo il tempo della tribolazione offre l’opportunità di far esercizio di questa qualità e di accrescerla.

I Pândava, che erano migliori del loro stesso padre Pându, non esercitarono questa nobile virtù durante il loro regno, ma ebbero modo di svilupparla durante il loro esilio nella foresta, quando dovettero attraversare ogni genere di sofferenze e di difficoltà, costretti a sostenersi solo con delle foglie. In verità, la pazienza è un tesoro prezioso da difendere soprattutto nei tempi del dolore e della tristezza; è come se esistesse un’intima correlazione tra l’esser pazienti e i tempi duri. In effetti, il piacere è un intervallo tra due dolori; un piacere s’incastona sempre tra due pene, e queste ultime preparano il terreno perché si sviluppi la pazienza.

Nessuno vorrebbe sperimentare il dolore, ma questo rifiuto è un segno di debolezza. Lasciate che arrivino i momenti difficili; non ribellatevi al sopraggiungere della sfortuna. È proprio in quei frangenti che si può guadagnare il massimo livello della sopportazione. Possono forse gli studenti aspettarsi la promozione se si rifiutano di sottoporsi agli esami? Per passare da una classe all’altra devono superare delle prove, che possono presentarsi difficili all’inizio, ma, una volta ottenuto un buon voto, sono motivo di gioia. Alcuni si lamentano, dicendo: «Che vita sto facendo tra tante sventure che non finiscono mai?»; ma sono proprio quelle difficoltà che li maturano nello spirito di sopportazione, vero fine della vita. E la vita va lasciata in quello spirito. È la pazienza che vi darà l’energia di maturare indipendentemente dagli elogi e dal biasimo, dal profitto e dalla perdita, dal successo e dalla sconfitta.

Dubbi e prove

Studenti, avete tanti dubbi dentro di voi. Finché provate devozione per Swami, siete vicini a Lui, ne sperimentate l’amore, vi sentite in beatitudine; ma, nell’istante in cui vi allontanate un po’, la vostra devozione vien meno, sentite meno amore. Perché ciò accade? Perché? E cercate una spiegazione al dubbio che vi tormenta. Voi incominciate ad avere quei dubbi, perché vi manca la pazienza. Ma, se voi foste pieni di pazienza, non dubitereste mai. L’impaziente avrà sempre una gran quantità di dubbi; il dubbio colpisce persino chi ha una solida fede, quando la pazienza incomincia a venirgli meno.

Bisogna dunque che mettiamo alla prova in ogni momento la pazienza e che ci si domandi, osservandosi con attenzione, se essa sia in forze o stia per indebolirsi. Dite continuamente a voi stessi: «La pazienza è la mia vita; è, come si dice, verità, rettitudine; è sacra come i Veda, è non violenza, è tutto: felicità, ricchezza, il mio tesoro, tutto quanto possiedo».

La mancanza di pazienza è la causa della rovina di molta gente e, in politica, fa perdere ogni senso civile, accendendo recriminazioni, critiche, ostilità e offese reciproche: ecco che cosa fa l’impazienza. Con la perdita della pazienza, si alimentano invidie e gelosie.

Gelosia e Non-gelosia

Dalla Non-gelosia nascono tre figli: Brahmâ, Vishnu e Maheshvara. Anasûyâ (che lett. significa “assenza di gelosia”, NdT) è anche il nome della moglie di un rishi, (Atri). Fu Dattâtreya a dire che ella fu la madre delle incarnazioni di Brahmâ, Vishnu e Shiva, e cioè, il cuore, la mente e la facoltà della parola. Invece, i figli nati da Asûyâ, la Gelosia, sorella più vecchia della Non-gelosia, sono l’odio, l’invidia, la vanità, l’orgoglio e l’ira. Tali figli sono perfidi, a differenza di quelli della sorella Non-gelosia che sono nobili e divini. Come mai una famiglia così contrastante da due sorelle? Anasûyâ (la moglie del saggio Atri) dovette sopportare molte sofferenze, un mucchio di tribolazioni, ma ella le affrontò con il coraggio e l’audacia, che sono all’o­rigine di ogni successo finale e sono il potere di cui occorre essere dotati.

Un consiglio per Râvana

Che uomo potente fu Râvana! Era dotato di ogni forza, fisica e intellettuale. Eppure, con tutto ciò, perdette la pazienza e il suo cuore si riempì di invidia e di odio. L’amore è l’unica forza che può avvicinarvi le persone anche più lontane e solo l’amore è in grado di trasformare l’odio. A Râvana venne a mancare l’amore. Perché? Perché non ebbe pazienza e divenne sempre più invidioso, morbosamente geloso, al punto da compiere atti indicibili. Che cosa poteva accadere ad un uomo che faceva tutto il contrario di ciò che doveva fare, guardava tutto quanto non doveva essere visto e prestava ascolto a tutto ciò che non si doveva udire?

Gli uomini d’oggi così fanno: odono ciò che non dev’essere udito, mangiano ciò che non va mangiato, guardano immagini che non devono essere viste. Nel loro cuore, quindi, c’è il vizio e non possono godere pace, anche se continuano a ripeterne la parola. Come può esserci pace in un cuore immondo?

In quel tempo, Hanûmân, il più grande devoto, diede il seguente consiglio a Râvana:

«Ravana, ti correggerò. Che accadrà a Lankâ? Ascolta il mio consiglio, non vergognartene. Non hai dato retta alle mie parole: usale con la tua ragione. Sei degno di morte, perché nella tua mente c’è il peccato. Sîtâ è la Madre del mondo ed è anche la tua. Tu hai portato via, rapito la Madre: ecco il tuo peccato. Con una sola freccia Râma farà a pezzi le tue teste, ed io da Lui sono stato inviato per sterminare tutti i demoni guardiani della foresta. Loro credevano che fossi solo una scimmia, ma io li ho uccisi tutti. Mi hai inteso bene? Ti darò di certo una lezione!»

L’intelletto può cambiare in questo modo, e sapete per quale ragione? Principalmente per gelosia e odio. La gelosia è una pessima nemica ed è in assoluto la prima responsabile dell’insorgere dei vizi ed anche della perdita della pazienza. Se siamo pazienti, la gelosia non ci colpisce, anzi non ci si avvicina nemmeno.

Le sfide della vita

Se nel cuore degli uomini d’oggi si sono insinuati sentimenti ignobili, la ragione principale è dovuta al fatto che agli studenti moderni manca la pazienza. Siete voi che dovete acquisirla da voi stessi, non dai libri, né dagli insegnanti, né dai guru. L’avrete solo grazie al vostro sforzo personale, necessario di fronte alle difficoltà della vita: lasciatele arrivare e affrontatele, sfidatele. È così che l’otterrete. Dite a voi stessi: «Qualsiasi problema si presenti, io l’affronterò». La vita è una sfida, anzi, ve n’è più d’una; è una serie di molte sfide: misuratevi con esse. Ogni istante della nostra esistenza è un’ardua impresa: resistete e proseguite senza fermarvi. Nutrite una siffatta determinazione.

Quando la pazienza o lo spirito di sopportazione se ne va, il cuore si riempie di dubbi e si estingue la facoltà che serve a discernere ciò che va messo in dubbio da ciò che è certezza. Perciò gli uomini d’oggi son diventati peggiori delle bestie. Anzi, sembra pensabile che gli animali siano persin migliori degli uomini, in quanto seguono regolarmente ritmi e stagioni, mentre l’uomo non ha né ragione né stagione. Ciò è dovuto al fatto che non ha saputo migliorare la qualità della pazienza. Per prima cosa, dunque, dobbiamo sviluppare pazienza. La vita riserva delle prove per saggiare la pazienza, ma non c’è assolutamente bisogno di preoccuparsene. Sopportatele e andate avanti. Così riu­scirete nella vita.

Di chi è la colpa?

Incarnazioni dell’amore, vi capita spesso di non riu­scire negli esami e di lasciarvi prendere dalla depressione e dalla frustrazione. Non potete dubitare di essere voi i responsabili dell’insuccesso, poiché, se vi foste impegnati al massimo, ve la sareste sicuramente cavata. Dovete dunque accettare il dato di fatto ed ammettere che l’errore è vostro. Invece di coprire i vostri sbagli con varie ed improbabili giustificazioni, dite piuttosto “È colpa mia! È solo colpa mia!” Siate fermamente decisi, ed otterrete dei risultati positivi. Non temete le prove e le difficoltà della vita.

Nella vita sono molti i problemi che si possono presentare e possono essere di natura etica, morale, spirituale, politica. Tuttavia, alcuni studenti si dedicano anche alla meditazione, ma senza notare alcun progresso spirituale, fatta eccezione per le prime volte. Dov’è l’errore? In Dio? Oh, no! È colpa vostra, poiché dovreste far fronte alle difficoltà, guardando avanti. Voi vi demoralizzate, vi spazientite e perciò incominciate ad aver dubbi. Bisogna che la pazienza in voi sia in crescendo continuo: è la vostra vita, il vostro respiro. Tutta la vita è una continua prova sotto sforzo, ed è necessario che vi sosteniate a questo elemento vitale della tolleranza.

Più pazienza subito

L’età vostra è importantissima; è l’età in cui si è in grado di affrontare con grande resistenza qualsiasi difficoltà. Se non siete abbastanza pazienti ora, quando lo sarete? In vecchiaia? Non sarete più in grado di pensare a Dio allora.

Quando i messaggeri della morte porteranno via in fretta e furia il vostro corpo, e tutti i familiari, perduta ogni speranza, penseranno alle esequie, mentre moglie e figli piangeranno la vostra perdita, riuscirete forse in quel momento a cantare la gloria di Dio? Impossibile, impossibile!

È proprio adesso che dovete incominciare con tutto il coraggio ad essere pazienti. È adesso che dovete far scorta di pazienza, e sarà poi nella vita la vostra arma imbattibile, il principale investimento. Quando vi passan per la testa certi pensieri cattivi, esaminatevi per scoprire se avete perso la pazienza e dovrete ammettere di aver sbagliato nel cedere all’im­pazienza. Se le porte della pazienza sono ben chiuse, niente potrà mai sfondarle.

“Estote parati”

La pazienza è indispensabile per coloro che desiderano avanzare sul sentiero spirituale. È un requisito imprescindibile ed è dunque necessario averlo. È un esame a cui siete sottoposti ad ogni piè sospinto. State molto attenti, perché non sapete quando l’insegnante v’in­ter­rogherà; voi dovete comunque esser preparati. Di chi sarà la colpa se dite “Non ho studiato”? Siate dunque pronti! Guardate come fanno i fotografi di professione: predispongono tutto prima, poi dicono “Pronti!” e scattano la foto.

Il Fotografo Divino, però, non fa lo stesso, non vi preavvisa con un “Pronti!”, e voi non sapete esattamente quando “scatterà la foto”. Perciò, dovete essere sempre pronti, altrimenti la foto verrà male e non sarà gradita al cuore di Dio, sarà disgustosa. Siate sempre pronti. State sempre all’erta. Questa è la prima disciplina spirituale. Non dovete accontentarvi di seguirla in certi tempi stabiliti, come al mattino, a mezzogiorno e alla sera; non vi basterà quel tempo. Il tempo non vi è amico: siete voi che dovete seguirlo, ma esso giammai seguirà voi. Quindi, in qualunque circostanza dovete aver cura di essere prudenti. Ecco perché il Vedânta afferma: «Sorgi, svegliati! Non fermarti, finché non abbia raggiunto lo scopo».

Decisione

In realtà, voi dormite il profondo sonno dell’ignoranza e dell’apatia. Svegliatevi; usci­tene ed entrate nella spiritualità. Sperimenterete allora la vera saggezza. Questa è la vostra sâdhanâ. Come studenti non l’avete capito. Ogni uomo, nonostante ci provi e ci riprovi con tanti sforzi, non è in grado di capire quella verità, per la sua incapacità di portare a termine il suo impegno. Non basta lo sforzo; ci vuole decisione.

Dio ha tre propositi. I primi due consistono nella «protezione del giusto e nella distruzione del malvagio». Il terzo è la promessa che «proteggerà coloro che pensano a Lui incessantemente». Se tali sono i voti o i propositi di Dio, che sarà di voi e della vostra vita se vi difetta la decisione. Andrete completamente in rovina: un giorno alle stelle, un altro alle stalle. Non cambiate continuamente umore, se non volete cadere in depressione; dalla depressione nascono confusione e titubanze. Quando la depressione e la confusione si alleano e camminano mano nella mano, la vita è un fallimento, uno sfacelo.

Studenti, in ogni cosa che fate siate decisi: «Debbo ottenere ciò; debbo riuscirci!». Sviluppate la virtù dell’amore; impegnatevi con determinazione e sarete benedetti e redenti dall’acquisizione della pazienza, la quale non deve essere dissociata da un amore completo. L’amore non conosce avversioni ed è scevro da desideri. Quindi, Dio è l’autentica personificazione dell’amore. Laddove la fede in Dio è incrollabile, c’è pazienza, e all’acquisizione della pazienza segue automaticamente l’amo­re. Amore e pazienza saranno le virtù che accompagneranno l’opera di redenzione nella vostra vita. A quale altro fine dovrebbero servire?

Preoccupazioni

È necessario mettere questo tipo di pazienza nell’adorare Dio, quando pensiamo a Lui, altrimenti che cosa accade? Ansie e preoccupazioni sono all’ordine del giorno nel mondo. C’è qualcosa che non sia motivo d’ansia? Siamo nati tra le preoccupazioni e l’esistenza stessa è foriera di preoccupazioni continue: i pensieri, il lavoro, la famiglia, l’infanzia e l’adolescenza, la vecchiaia, la morte; la moglie, l’insuccesso, il da farsi, i vari problemi, l’esser felici, il mistero. Ci sediamo sotto l’albero cintâ, l’albero del tamarindo, con dodici forme di preoccupazioni e pensieri (cintâ).

Che fare per non essere oppressi da tutte quelle ansie? Occorre guardarle in faccia, affrontarle e poi proseguire, accettandole col sorriso. Mai e poi mai abbattetevi. Non serve. Accoglietele sereni, dicendo: «Venite, amici; venite pure! Solo voi mi sapete far felice». Gli amici del mondo, infatti, non vi danno la felicità. Sono i nemici gli artefici della vostra felicità. E sapete perché? I nemici, odiandovi, vi costringono ad essere sempre all’erta e a sviluppare così lo spirito della sopportazione, la virtù della pazienza che fa il vostro successo.

Amore e pazienza

Incarnazioni dell’amore, insieme all’amore dovete ottenere anche la pazienza. In realtà, il vostro amore non è sincero ed è così gretto, vile, meschino, scarsissimo, ridotto ai minimi termini. Non crediate che sia amore, perché voi non fate che brigare per i vostri desideri. Il vostro impegno è orientato verso interessi egoistici. Staccatevi dai vostri interessi personali e amate Dio in tutti. «Lui è il mio Tutto in tutti»: questo sia il vostro credo. Vedrete allora crescere in voi la pazienza.

Il mondo soffre per mancanza di tolleranza. Non esiste nazione in cui gli uomini, per mancanza di tolleranza, sfuggano alle innumerevoli difficoltà che ne derivano. Senza pazienza l’uomo non riesce ad ottenere nemmeno la più piccola cosa. Una mucca strappa con un soffio un ciuffo d’erba; ma, quando l’erba tagliata viene intrecciata, diventa così resistente da legare persino un elefante! Pensate a questo principio di unità e adottatelo per fortificare la tolleranza. Unità in che cosa? Nel bene, nel Divino. L’unione purifica i cuori e la purezza del cuore fa raggiungere il Divino.

Studenti, qualunque altra decisione possiate aver fatto, dovete continuare a mantenere ben salda la fede in Dio. Non abbiate mai paura di essere oggetto di critica, disprezzo o ridicolo; lasciate che i problemi, le preoccupazioni vadano e vengano. Non indietreggiate. Andate avanti, intrepidi.

Procedere impavidi

Gli studenti d’oggi non sono però così. Tempo addietro si celebrava una festa mussulmana di nome Moharam. In quell’occasione c’erano due persone, Hassan e Ussan, che danzavano sul fuoco. Danzavano ripetendo appunto “Hassan-Ussan”, muovendo i piedi su e giù e rimanendo al proprio posto. Non c’era verso che avanzassero. Così, anche voi ripetete “Sai Ram, Sai Ram” in qualsiasi direzione, ma rimanendo sempre fermi dove siete (risa dell’uditorio). Quando vi decidete ad andare avanti? Si deve andare avanti! Anche se v’imbatteste in avvallamenti, dovete oltrepassarli e continuare a camminare. Se qualcuno vi ostruisce la strada, gli dovete ordinare “Forza, cammina!”; ci vuole coraggio per giungere sulla vetta. Se nel vostro cuore c’è tolleranza, riuscite ad essere anche audaci.

La resa di Vibhîshana

Vibhîshana, (fratello di Râvana), fu animato da ogni genere di coraggio e audacia, opponendosi a Râvana. Si rivolse a Râma, ripetendone continuamente il nome, perché non c’è altro modo per giungere a Râma. E Râma, sebbene distante, alzò su di lui la Sua mano nel gesto dell’abhaya hasta (che significa “Non aver paura!”), assicurandogli protezione e rifugio. Lakshmana, Sugrîva e tutti gli altri che stavano vicino a Râma, Gli dissero: «Swami, è un demone, fratello di un demone, Tuo nemico. Non è il caso che Tu gli dia la Tua benedizione!» Nel frattempo, Vibhîshana si era avvicinato gridando: «Râma, io ti appartengo, sono Tuo, sono Tuo, sono Tuo!» Allora Râma disse: «Chiunque sia la persona che dice con fede “Io sono Tuo”, Io la proteggerò».

Così dovreste essere: decisi ad ogni costo. Vibhîshana, il cui figlio Nirundu, rimase ucciso in battaglia per mano di Râma, colse l’occasione di trovarsi alla Sua presenza per dirGli: «Mio figlio, o Râma, è molto potente, ma Tu devi senz’altro annientarlo». E Râma lo colpì a morte, proprio come aveva chiesto il padre. Anche Vibhîshana cadde privo di sensi. Lakshmana lo rialzò e gli chiese: «Che succede? Perché sei svenuto?» E Vibhîshana rispose rivolto a Râma: «Swami, io non ho attaccamenti, ma ho nutrito molto affetto per mio figlio. Era il mio unico figlio, ma Ti ho chiesto comunque di ucciderlo. E così è avvenuto, proprio sotto il mio sguardo. È stato insopportabile per me; riconosco la mia debolezza. Ti prego, dammi la forza di saper sopportare. La forza di sopportazione è la mia verità, la mia retta via, il mio Râma. La pazienza è il mio Dio, Râma in persona. Non lo dimenticherò».»

Gli amici della zanzara

Persone così nobili, uomini forti e coraggiosi, hanno perduto tutto perché mancava loro la pazienza. Una volta che avete ottenuto la pazienza, avrete tutto il resto. Però, accanto alla pazienza c’è il suo contrario; da una parte si commette uno sbaglio, dall’altra c’è la punizione. Questo accade nella vita.

Siete coricati nella vostra camera da letto e ci sono molte zanzare. La notte dopo vi organizzate con una zanzariera, e voi siete tranquilli anche se le zanzare sono esterne alla rete; ma le zanzare la oltrepassano. Ebbene, che fare per ucciderle? Le fate uscire dalla zanzariera, che poi rimonterete. In realtà, una sola zanzara vi ha punto, ma non sapete quale. Allora prendete l’insetticida e lo spruzzate contro tutte. Per una zanzara che vi ha punto, sono state uccise tutte le altre, tutte quelle che non ne avevano colpa, perché tutte le zanzare sono amiche di quella colpevole. Il loro sbaglio è stato quello di essersi associate all’unica colpevole.

«Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei». Il vostro destino dipende da chi frequentate. Se incominciate a far entrare in voi pensieri cattivi, giorno dopo giorno, peggioreranno, la vostra pazienza verrà meno e, una volta perduta, non può più essere riguadagnata. Bisogna dunque far bene attenzione a non perderla mai, in modo da poter essere forti nelle nostre decisioni.

Mettere in pratica ciò che si ascolta

Incarnazioni dell’amore, studenti, in questi quindici giorni, voi tutti avete udito e tesaurizzato nei vostri cuori le parole degli adulti e quelle che sono da attribuire a Swami. Dovete cercare di dar loro il via. Non ha senso tenerle dentro di sé; bisogna che raggiungano il loro scopo, che è quello di essere concretizzate, sperimentate nella vita pratica. Allora potrete dire di averne colto l’essenza.

C’era uno che in un viaggio si era portato con sé un bel mucchio di cibarie. Dopo aver camminato per molto, incominciò a sentirsi stanco, debole e il peso delle sue scorte era divenuto insopportabile. Così si sedette in un posto, aprì il sacco e si mise a mangiare. Il peso diminuì e le sue forze aumentarono. La sua forza derivava dal fatto che ora il cibo era nel suo corpo; ed ora era in grado di fare qualsiasi cosa.

Allo stesso modo, ciò che abbiamo messo da parte, interiormente, dev’essere estratto e usato al fine di sperimentarlo; solo nell’espe­rienza pratica, anche la vita interiore riceverà forza e potenza, e assicurerà successo in ogni campo.

Incarnazioni dell’amore, tutti i buoni sentimenti che vengono espressi esteriormente cacciano via quelli cattivi. Fate dunque tesoro di quelli buoni, date ad essi spazio dentro di voi, ampliateli e il risultato sarà una pazienza corroborata. Il vostro avvenire sarà coronato da una vita ideale se non mancherà la potenza di queste capacità.

La vostra capacità non dipende solo dal­l’istruzione. In che cosa consistono tutti questi studi? Essi non sono che un sapere libresco, una conoscenza superficiale e orientano lo sguardo solo sull’esterno. No, no! È all’energia interiore che dobbiamo mirare.

Ciò che sta fuori è folclore (art),
ciò che sta dentro è cuore (heart).

È il cuore che dovete rinforzare, mentre oggi si dà tanto valore alla competenza. E ciò accade per la pressione esercitata dall’esigenza di riempire lo stomaco. Per guadagnare di più conta l’efficienza; ma noi abbiamo bisogno di cibo per la testa, per avere la testa in Dio. Cibo, mente e Dio: sono tre livelli che hanno bisogno di essere coordinati tra loro.

Una Cultura raffinata

Quindi, è doveroso possedere anche una cultura specifica. Il vicerettore ha parlato della cultura indiana, sintetizzando concetti contenuti in molti libri. Come potremmo definire la cultura dell’India? È una cultura soprattutto sacra, delicata, ma forte insieme, indimenticabile, protettiva. Oggi però l’antica cultura indiana, che dovrebbe essere il nostro sostegno, è stata dimenticata. Dobbiamo invece aumentarla sempre di più: laddove ci si raffina, c’è vera cultura.

Di che cosa è fatta la stoffa che indossate? Di un insieme di fili. E i fili da dove vengono? Dal cotone. E il cotone? Il cotone è la forma originaria. Dunque, dal fiocco di cotone si passa al filo e poi alla stoffa. Ci vogliono due passaggi di raffinamento, prima del risultato finale. Perciò, il cotone è la materia prima che deve subire un processo di raffinamento.

Guardate un albero e un tavolo. Per giungere a fare il tavolo occorre passare attraverso vari processi: si taglia l’albero, si monda, si scorteccia, si sega, si scompone e lo si ricompone a seconda della forma voluta.

Quando il riso è maturo, lo mangiate così come l’avete raccolto, senza mondarlo? Prima lo liberate dal fusto erboso; le spighe vanno battute per farne uscire i semi; questi a loro volta vanno separati dalla pula, e così il riso è raffinato e commestibile. Solo allora lo potrete mettere in acqua bollente per ottenere un buon risotto. Solo così è possibile mangiarlo.

Si chiama cultura il risultato del processo di raffinamento, e l’antica cultura indiana ha saputo dare perfezione ai grandi. Quindi, per mezzo del nome di Dio e di una fede indefettibile, dobbiamo ottenere la forza della pazienza, insieme alla potenza della compassione.

(Il Bhagavan chiude il discorso col canto “Râma Râma Sîtâ”)

Brindâvan, Sai Ramesh Hall, 25 maggio 2000, pm.

Corso Estivo 2000

Versione integrale.

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