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Discorsi Divini di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

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discorsi:1959:19590710

19590710 - 10 luglio

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

La Verità fondamentale

[1] Questa vita, che comincia con un pianto, deve terminare con un sorriso. Quando eravate neonati, sebbene tutti intorno vi sorridessero, voi continuavate a vagire; ma quando morirete, tutti devono piangere la vostra scomparsa, mentre voi dovreste sorridere in pace, con serena accettazione. I piaceri che derivano dal godimento sensoriale, alla fine devono essere trasmutati nell’estasi dell’unione con Dio. Rinunciate gradualmente ai piaceri dei sensi e sviluppate il gusto per un piacere più elevato e duraturo che sorge dall’intimo della vostra stessa personalità. Per raggiungere l’unione con Dio, la devozione è la cosa più importante: è insieme la testa e la corona; anche la pace e la gioia sono altrettanto essenziali. Il fuoco del dolore e della gioia arde quando la fornace della mente è alimentata dal combustibile dei vāsanā, le impressioni lasciate nella mente dalle azioni delle vite passate. Togliete il combustibile, ed il fuoco si estinguerà; eliminate i vāsanā, cioè la forza esercitata dagli impulsi, dagli stimoli e dalle passioni, e diverrete padroni di voi stessi. Questa purificazione si ottiene con lo yoga mediante vari esercizi fisici e psicologici, però la devozione è il mezzo più semplice per raggiungerla; il ricordo del Nome di Dio è sufficiente. Si afferma che nel Tretā Yuga il Nome di SītāRāma fosse sufficiente, che nel Dvāpara Yuga bastasse quello di RādheShyāma, ma ora vi dico che nel presente Kali Yuga tutti i Nomi divini possiedono tale capacità.

[2] Quando recitate il nome RādheShyāma dovete soffermarvi sul suo significato; i più profondi misteri di questa parola devono essere ben presenti nella vostra mente. In tal modo la ripetizione del Nome divino conferirà rapidi risultati. Rādhā non è una persona, ma simboleggia Dharā, che significa la terra o natura, Jada, la creazione. Krishna o Shyāma è il Creatore, il Principio Attivo, ovvero la Consapevolezza, il Purusha, lo Spirito Supremo. Shakti, l’Energia Divina, è Dio; l’individuo è il Jīva, l’anima individuale che ha assunto nome e forma. L’Oceano è Shakti e l’onda è il Jīva. Tutto il sapore, la forza ed il fragore dell’onda si originano dall’Oceano ed in esso si dissolvono. La scomparsa del nome e della forma dell’onda è chiamata Moksha, liberazione, cioè la fusione dell’onda nell’Oceano da cui apparentemente sembrava differire. In altre parole, la liberazione consiste nella ‘de-individualizzazione’, ovvero annullamento della propria individualità. Quando nei bhajan cantate i Nomi di Dio, dovete contemplare la loro verità di fondo. Nel bhajan ‘Hare Rāma Hare Rāma, Rāma Rāma Hare Hare; Hare Krishna Hare Krishna, Krishna Krishna Hare Hare’ – ci sono sedici parole, ognuna delle quali indica una virtù che deve essere coltivata insieme al canto del bhajan. Il devoto deve essere: colmo di devozione, pronto a gioire del dolore, libero dall’attaccamento a ciò che è transitorio, desideroso di servire il Signore, di retta condotta, caritatevole, di reputazione ineccepibile, con un carattere senza difetti, pienamente soddisfatto, ricco di buone qualità, dotato di tutte le virtù, provvisto del frutto della conoscenza, di matura saggezza, padrone di sé, di irreprensibile comportamento sociale, pieno di umiltà e totalmente abbandonato a Dio. L’aspirante deve almeno pregare, ripetendo verbalmente ogni singola qualità, affinché tali virtù possano crescere e svilupparsi in lui, portandolo così più vicino alla meta. Quando le avrà pienamente conseguite, potrà affermare: “Egli è me stesso, io sono Lui.”

[3] Sì, dovete lottare! Non si può raggiungere la vetta senza sforzo. Abbiate fiducia nella vittoria finale, acquisite fede e coraggio, ma non associatevi a persone che gettino i semi della paura e del dubbio. Fate tesoro di tutta la fiducia acquisita qui, alimentatela, salvaguardatela con estrema cura, e non fatevela scivolare via dalle mani una volta oltrepassato questo cancello. I germogli devono essere ben curati, irrigati, fertilizzati e protetti dai parassiti. Potete forse superare un esame senza avere studiato? Eppure è quello che voi sperate di fare! Liberatevi dell’attaccamento alle cose transitorie, diventate forti e siate al di sopra di ogni tentazione.

[4] I pesci sono felici perché sono immersi nell’acqua, ma quando ne vengono buttati fuori, si dibattono e soffrono pene mortali. Analogamente, l’uomo è felice solo quando è immerso nell’amore, nella pace e nella verità: questi sono i componenti dell’acqua che gli dona la vita; ma quando ne viene buttato fuori, anch’egli soffre e si sente terribilmente infelice. La vita è proprio ‘l’essere gettati fuori dall’acqua’ e la disciplina spirituale è lo sforzo per saltare nuovamente in quell’elemento vitale. Per avere successo in questa battaglia non dipendete da nessuno, ma solo da voi stessi e dalla grazia di Dio. Ricordate che Rāma (Dio) e Kāma (desideri materiali) non possono coesistere, perché dove c’è Rāma, Kāma non può fiorire, e dove c’è Kāma, come può esserci Rāma? Come unico supporto ci deve essere l’adorazione per il Signore a fare da base e sostegno: questo è il mezzo più semplice per conquistare Dio. Se continuate in questo sforzo ininterrottamente, il Signore stesso verrà come vostra guida.

[5] Mentre Madhurakavi praticava penitenze ed austerità, vide dinnanzi a sé una grande colonna di luce che raggiungeva il cielo e, in quella luce, vide il Signore Dakshināmūrti. Poi quella colonna di luce cominciò a muoversi e Madhurakavi la seguì finché fu condotto dal guru Nammālvār, che accettò di diventare suo Maestro; in seguito il guru gli fece realizzare la Realtà. Vemana e Tyāgarāja raggiunsero le vette dell’esperienza spirituale per mezzo della grazia di Dio e dell’incoraggiamento ricevuto dalla Sua apparizione. Pregatelo e Lui si rivelerà! Egli è il filo nella stoffa, è l’oro in questa apparente varietà di gioielli, è l’argilla in tutti i vasi, è l’acqua che sostiene tutte le onde. Quando lo comprenderete, sarete colmi d’amore e di rispetto verso tutti, in quanto tutti sono la medesima Forma, quella del Signore stesso.

[6] Non parlate cinicamente dei ricercatori spirituali; cosa ne sapete dello stato d’animo del devoto che voi, con tanta facilità, giudicate ed etichettate come pazzo o fuori di sé? Non fate mai discussioni sui livelli spirituali raggiunti dagli altri; perseverate lungo il vostro sentiero e siate moderati nel parlare, nel dormire e nel mangiare. Non vergognatevi di cantare il nome del Signore od i bhajan, anzi siate orgogliosi di avere una tale opportunità e felici di utilizzare la vostra lingua al meglio. Quando uno scultore osserva una pietra, immediatamente vi scorge la forma della bellezza che ne è imprigionata, e non avrà pace finché non sarà riuscito a liberarla dalla morsa della pietra. Non guardate una pietra come se fosse una semplice pietra, ma scorgetevi Dio, la Realtà fondamentale che è alla base di tutto.

[7] Per anni Vemana non si era recato in alcun tempio ed aveva deriso chi credeva che un’immagine fosse un simbolo di Dio, ma quando la figlia di suo fratello morì, un giorno si trovò a tenere fra le mani un suo ritratto ed a piangere la sua scomparsa. All’improvviso gli balenò un pensiero: se una immagine poteva indurlo al dolore ed alle lacrime, allo stesso modo un’immagine sacra poteva dare gioia e commuovere chi conosce la bellezza e la gloria del Signore. L’immagine serve solo a rammentarci la presenza di Dio ovunque ed in ogni cosa. Il Signore è il Sole, e quando i Suoi raggi discendono nel vostro cuore libero dalle nubi dell’egoismo, il bocciolo di loto fiorisce e dischiude i suoi petali; ma ricordate, solo i boccioli che sono pronti fioriranno, mentre gli altri dovranno attendere pazientemente. Nel frattempo, procedete in compagnia del Nome del Signore: il Suo ricordo è l’antidoto migliore contro tutti i mali.

Bangalore, Akhanda Bhajana, 10.07.1959

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da DISCORSI 1953 - 1960 (Sathya Sai Speaks-Vol.I) ed.Mother Sai Publications
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