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Discorsi Divini di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

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discorsi:1963:19630302

19630302 - ?? marzo

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Devozione sincera

[1] Il significato dell’Avatār Krishna va oltre la vostra comprensione, poiché tutte le Incarnazioni Divine sono inspiegabili nel linguaggio di questo mondo, con il vocabolario dell’uomo comune. Tentare di farlo è come voler racchiudere l’oceano in un canale. Potrete comprenderlo solo quando vi sarete sciolti da questo mondo e dai suoi attaccamenti, espandendo la vostra solidarietà e compassione e purificando i vostri propositi. L’Uno ed unico Dio fu conosciuto dalle gopī1 come immanente in ogni essere. Esse resero stabili e pure le loro menti e vi insediarono Krishna. Virabhadra Shāstri ha appena detto che il Signore non si fermerà in un cuore che non sia sereno ed imperturbato. Ovviamente, se mettete un bimbo nella culla, questa non deve muoversi, ma non appena il piccolo è disteso, si può farla dondolare; infatti, solo quando si dondola la culla cantando si è felici. Ricordate che anche il Signore è un bambino, Egli personifica Sat-Cit-Ānanda ed è privo di qualsiasi attributo o qualità. Virabhadra Shāstri ha detto che quando Uddhava2 si recò al Gokulam, il villaggio degli allevatori di bovini di Brindavan, vide che le mucche erano belle grasse e piene di latte, le gopī erano felici e gaie e che il posto era colmo di fragranza e musica. In realtà i fatti erano ben diversi! Il luogo era desolato, gli uomini e le donne sconsolati e smarriti, ed anche il bestiame era sopraffatto dal dolore. Uddhava portò a tutti loro una nuova prospettiva di vita; infatti Krishna gli aveva detto: “I loro cuori sono uniti al Mio, le loro menti pensano solo a Me; hanno trascurato persino le primarie necessità del corpo e vivono solo perché sperano di vedermi ancora, un giorno.” Come potevano quindi le pastorelle essere liete e gioiose? Uddhava stesso si sentì umiliato nel vedere la loro resa totale ed il tormento della separazione che le consumava. Questo è proprio il motivo per cui Krishna mandò Uddhava da loro.

[2] Ogni azione di Krishna aveva un significato, uno scopo ed una dolce inclinazione. Le pastorelle erano convinte che Krishna fosse il Signore. Molti asceti, re ed imperatori, in mezzo ai quali Krishna si muoveva, non avevano realizzato tale verità. I semplici ed illetterati guardiani delle mandrie, uomini e donne, si rivelarono invece più saggi. Quando anche voi proverete quello stesso sentimento e sarete tormentati dalla medesima pena, potrete comprendere le gopī, non prima. Per alleviare il loro straziante dolore, il messaggio di Krishna fu l’antidoto necessario: “La vostra sofferenza è determinata da una visione ristretta e superficiale. Voi mi prendete per un’entità limitata e circoscritta, quindi pensate che Io sia distante, assente, che non sia al vostro fianco. In tal modo vi tenete aggrappate a questa illusione; risvegliatevi alla verità e stabilitevi nella gioia!” L’Uno non desidera di Sua spontanea volontà divenire i molti. Egli non ha desideri, non ha attrazioni né avversioni; è immanente e trascendente, è tutto questo ed ancor di più. Allora qual è il motivo di tutta questa multiforme apparenza? La ragione risiede nella mente del devoto. Voi affermate di aver visto Baba in una certa forma, o che vi è apparso in quell’altra forma. La realtà è che voi desiderate quelle visioni. Io non mi tramuto in nessuna forma. Il Signore è zucchero, è dolcezza. Potete mescolarlo al tè, al caffè, al latte o all’acqua. In qualsiasi cosa lo mettiate, la renderà dolce. La dolcezza è la Mia natura, la Mia firma. Quando sarà sciolto, non rimarrà né acqua né zucchero ma un’altra cosa: sciroppo; tuttavia se la vostra lingua è amara per invidia, odio ed orgoglio, come potrete gustare la dolcezza?

[3] A Dio interessa la motivazione, non l’oggetto offerto. Draupadī poté offrire a Krishna solo una fogliolina recuperata da una pentola; quella foglia soddisfò non solo la Sua fame, ma anche quella dell’universo intero in quanto era satura della devozione di Draupadī. La foglia di basilico sacro messa da Rukminī sul piatto della bilancia fu in grado di pareggiare il peso di Krishna, che ha tutti i quattordici mondi nel Suo ventre, poiché la devozione di Rukminī diede a quella foglia un peso immenso. La manciata di riso schiacciato che Kuchela4 portò a Krishna valeva meno di un centesimo, ma era così pregna della devozione e della fede di sua moglie che gli portò una grande fortuna. Il più piccolo ed umile gesto può essere colmato di un mondo di sentimenti, ed il Signore darà valore ed apprezzerà proprio quello. Krishna è il ‘Senza Causa’. Non potrete scoprire le cause delle Sue azioni: cercarle è semplicemente una perdita di tempo; se insistete nel cercare le cause e poi tentate di seguire il sentiero, potreste perdere ogni opportunità. Voi siete nati come uomini al fine di raggiungere Dio, ricordatevelo. La gente vi ferma durante il vostro pellegrinaggio e vi domanda: “Perché vai a Madhurā, a Brindavan, a Tirupati, a Puttaparti?” Ma nessuno vi chiede: “Perché mangi?” In effetti bisogna cercare Dio proprio come si cerca il cibo, perché entrambi sono fondamentali per la felicità. L’uomo desidera la felicità perché in origine è libero, è immortale e tenta di superare la morte.

[4] Non accusate il Signore del vostro insuccesso nella disciplina spirituale, piuttosto esaminate voi stessi. Voi puntate la sveglia alle sei del mattino e poi andate a dormire; se però la sveglia suona alle dieci dedurrete che qualcosa non funziona: le molle, il bilanciere od altro. Analogamente, se i risultati sperati non si concretizzano, dovete dedurre che c’è qualcosa che non va in voi stessi: le vostre abitudini alimentari, le bevande, il sonno, il comportamento o l’atteggiamento verso gli altri. A prescindere che si tratti di un bramino, un pandit, uno studente o un artista, tutti devono attenersi ad un rigoroso codice di disciplina. Senza quello non potrete raggiungere la vittoria. Dovete diventare padroni dei sensi e, vincendo il Potere fondamentalmente illusorio [di questo mondo] dovete pervenire al Potere Supremo. In breve, anche voi dovrete elevarvi al livello delle gopī.

[5] Il corpo vi è stato dato come una barca per attraversare l’oceano della vita terrena, ma voi lo utilizzate per accumulare cose che vi danno gioie materiali, senza mai calare la barca in acqua. Fare un cattivo uso del corpo ostacola l’attività che contribuisce a conseguire la felicità vera; utilizzatelo secondo le leggi del Dharma, ed il successo sarà assicurato. Bhīma chiese a Dharmarāja se intendesse acconsentire nel caso in cui Duryodhana, il maggiore dei fratelli Kaurava, lo avesse invitato ad un’altra partita a dadi dopo i 12 anni di esilio nella foresta e l’anno in incognito. Dharmarāja rispose: “Non mi scosterò mai dal sentiero del Dharma.” Poiché quella era la sua attitudine, i Pāndava furono costantemente aiutati dalla grazia di Krishna e dalle benedizioni di saggi come Markandeya e Vedavyāsa. I Kaurava, invece, furono stremati da un susseguirsi di maledizioni da parte di alcuni saggi adirati nei loro confronti e da una serie di presagi infausti.

[6] La vostra disciplina spirituale non richiede tanto il leggere o lo scrivere quanto l’esperienza vera e propria. Rāvana era un grande studioso, versato nei quattro Veda e nelle scienze spirituali; infatti le sue dieci teste erano piene di tutto ciò. Ma a cosa servì? Non aveva pace né era in grado di conferirla ai suoi parenti ed amici. Che vantaggio si ottiene ripetendo semplicemente mille volte: “Oh che cibo delizioso!” Dovete mangiarlo, digerirlo ed assimilarlo. Non avete alcun deposito a vostro favore presso la ‘Banca della Grazia’ di Bhagavān, ma nonostante ciò vi azzardate ad emettere degli assegni, aspettandovi la Sua grazia nei momenti difficili! Tenete un deposito o dei beni a vostra disposizione, come il servizio al prossimo, amore verso tutti, la pratica della non violenza, in modo che possiate ipotecarli e ricevere un aiuto. Se però non avete niente di tutto ciò, perché accusate la Banca?

Mediante le attività e le occupazioni quotidiane potete realizzare il Signore, credetemi! Le gopī sono il miglior esempio e la miglior prova. Ricordate sempre il Nome di Dio con lo struggimento di chi non ha ancora concluso la sua ricerca, e rammentate sempre quella Forma incantevole con il tormento di essere stati costretti ad allontanarvene; in tal modo potrete vedere Krishna in mezzo a voi. Se c’è l’anelito, il risultato sarà certo.

[7] Prahlāda era sempre immerso in quel pensiero; quando fu gettato giù da un pendio, calpestato dagli elefanti e torturato dai servi di suo padre, non vi badò poiché per lui contava solo il suo Signore, aveva bisogno solo di Lui. Anche le gopī, quando ascoltavano il flauto di Krishna perdevano l’attaccamento al mondo, ai sensi ed alla molteplice varietà degli oggetti materiali. Esse anelavano alla più sublime unione spirituale con l’Infinito, il quale richiamava sempre l’essere finito perché realizzasse la propria limitatezza. Purificando gli impulsi si ascende ai livelli superiori, dove si può afferrare il mistero del Divino. Il primo stadio è Sālokya: essere nel regno di Dio, il dimorare alla Sua presenza ed obbedire ai Suoi ordini. Successivamente, con la continua contemplazione del Divino si raggiunge il secondo stadio di Sāmīpya: la vicinanza al Signore, l’essere sempre nella coscienza di Dio; ed infine il terzo stadio di Sārūpya: l’essere simili alla forma del Divino. Molti grandi poeti mistici hanno conseguito queste sublimi altezze. Jayadeva cantava con intenso struggimento, ma se voi cantate la medesima canzone pur nello stesso modo, Krishna non vi apparirà. Egli vuole la sincerità non l’imitazione. Il Nome divino pronunciato con fede sincera era l’offerta di fiori delle gopī, era il grano del loro rosario.

Prashānti Nilayam, marzo 1963

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da DISCORSI 1963 (Sathya Sai Speaks-Vol.III) ed.Mother Sai Publications
discorsi/1963/19630302.txt · Ultima modifica: 2016/02/23 15:18 da 127.0.0.1