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Discorsi Divini di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

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discorsi:1963:19630707

19630707 - 07 luglio

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Proteggere i devoti

[1] Ieri, quando sono entrato nella sala, ho avvertito il dolore che tutti voi avete provato, e questo è da attribuire al fatto che mi avete identificato con il corpo colpito dalla malattia. Se aveste avuto consapevolezza della Mia Verità, non vi sareste rattristati; in realtà sarebbe stato sufficiente riconoscere la vostra Verità. La malattia se n’è andata così com’è venuta: Io ne sono stato il Padrone, per tutto il tempo. Quando aveva raggiunto il suo culmine, ho esaminato il suo decorso e l’ho indotta a terminare il suo Dharma [il suo compito]. L’avevo presa su di Me e quindi le dovevo consentire di compiere il suo Dharma! Mentre ero malato, sono circolate storie sciocche di ogni tipo. Alcuni temevano che qualcuno mi avesse fatto una magia nera durante il Mio recente viaggio al Sud, e che la paresi ne fosse la conseguenza. Vi assicuro che nulla di male mi può colpire e nulla mi può ferire: Io sono il Padrone, il Potere che domina ogni cosa. Sono venuto a sapere anche che qualcuno diceva che stavo osservando il silenzio o che ero in uno stato d’estasi. Perché mai dovrei osservare il voto del silenzio? Se sono silenzioso, come potrei portare avanti la Mia missione di riformarvi e farvi realizzare il proposito dell’esistenza? Inoltre perché dovrei cercare l’estasi, Io che sono l’Incarnazione stessa della Beatitudine e dell’Amore? Lo scettico e l’ignorante prestano orecchio a simili chiacchiere. Il vero devoto invece scarterà tutte queste storie. Per i devoti, questi otto giorni sono stati giorni di intensa penitenza; essi non avevano nessun altro pensiero all’infuori di Swami.

[2] Una volta anche Krishna finse di soffrire di un mal di testa violento ed insopportabile! Interpretò quel ruolo molto realisticamente, come ho fatto Io la scorsa settimana. Si era avvolto dei panni caldi attorno al capo e si rotolava nel letto senza pace. Aveva gli occhi rossi ed il Suo malessere era palese; anche il Suo volto pareva gonfio e pallido. Rukminī, Satyabhāmā e le altre regine corsero al Suo capezzale con vari rimedi e medicinali, ma tutti risultarono inefficaci. Alla fine esse chiesero consiglio a Nārada, il quale andò nella stanza di Krishna per consultarlo e scoprire quale medicinale lo potesse guarire. Krishna gli disse di portargli…Quale farmaco pensate che fosse?…la polvere dei piedi di un vero devoto! In un baleno Nārada si manifestò alla presenza di alcuni famosi devoti del Signore, ma essi erano troppo umili per offrire la polvere dei loro piedi per essere usata dal loro Signore come rimedio! Anche un atteggiamento del genere è una sorta d’egotismo. Sensazioni quali: ‘Sono di un basso livello, meschino, piccolo, povero, peccatore, inferiore’ – sono tutti sentimenti egoici; infatti quando l’ego se ne va, non vi sentirete inferiori né superiori. In ogni caso, nessun devoto osava dare la polvere richiesta dal Signore perché affermava di esserne indegno. Così Nārada tornò deluso al capezzale di Krishna, il quale gli chiese: “Hai provato ad andare a Brindavan dove vivono le gopī?” Le regine risero a quel suggerimento e persino Nārada domandò costernato: “Ma cosa ne sanno della devozione?” Nonostante ciò, il Saggio dovette affrettarsi a raggiungere quel luogo.

[3] Non appena le pastore appresero che Krishna era malato e che la polvere dei loro piedi l’avrebbe fatto guarire, senza un secondo pensiero, la raccolsero dai piedi e riempirono le mani di Nārada. Quando Nārada fece ritorno a Dvārakā, la cefalea di Krishna era già scomparsa! Quella fu una commedia di cinque giorni per insegnare che anche l’autocondanna è egotismo e che tutti i devoti devono obbedire agli ordini del Signore senza esitazione. Quando ho annunciato che avevo preso su di Me la malattia destinata a qualcun altro, il quale altrimenti non avrebbe potuto sopravvivere, molti di voi hanno pensato: “Perché Swami ha gettato così tante persone nel dolore per favorirne una sola?” Ma Rāma non s’incamminò forse verso la foresta nonostante tutta la città di Ayodhyā piangesse? Il Mio Dharma di proteggere i devoti doveva compiersi, ed anche il Dharma della malattia doveva attuarsi. Per quanto potente fosse Indra, Krishna avrebbe potuto far cessare le piogge; ma Indra doveva adempiere il suo Dharma e, nel sollevare la montagna Govardhana per proteggere le mucche ed i pastori, Krishna manifestò la Sua divinità! Anche nella circostanza attuale, l’atto divino è stato il medesimo: ho utilizzato questa opportunità per dimostrare al mondo dei dubbiosi la Divinità intrinseca a questa Forma umana. Ieri vi avevo detto che persino quel fortunato devoto è stato solo uno strumento usato per mantenere la promessa fatta in passato al saggio Bharadvāja; il miracolo è servito a rivelare la Mia reale Natura a tutti voi. Siete davvero molto fortunati perché, nel sacro giorno dedicato al Guru, siete stati testimoni di questa straordinaria rivelazione della Mia Divinità.

[4] Non c’è Verità (Satya) senza Bontà (Shivam), non c’è Bontà senza Bellezza (Sundaram). La Verità soltanto può conferire Mangalam (gioia, buoni auspici) e solo Mangalam è vera bellezza. La Verità è bellezza, la gioia è bellezza. La menzogna e la sofferenza sono brutture perché sono innaturali. L’intelletto, la mente subconscia ed il cuore sono i tre centri dell’uomo in cui risiedono la saggezza, l’attività e la devozione. Lo splendore della Verità rivelerà la Bontà. Impegnatevi in azioni approvate dalla più alta saggezza, non in azioni create dall’ignoranza. Così tutte le azioni saranno Shivam: di buon auspicio, benefiche e benedette. Fare esperienza di Shivam viene detto Sundaram, bellezza, in quanto conferisce la vera beatitudine. Tale è la Mia Realtà ed è il motivo per cui la Mia vita è detta ‘Verità, Bontà, Bellezza’. Impegnatevi nell’azione fondata sulla saggezza, la saggezza che tutto è Uno. Fate in modo che il vostro lavoro sia pervaso dalla devozione, in altre parole da: umiltà, amore puro, compassione e non violenza; fate in modo che la vostra devozione sia colma di saggezza, altrimenti sarà leggera come un pallone che si lascia trasportare da ogni corrente d’aria o soffio di vento. La conoscenza [secolare] da sola rende il cuore arido, mentre la devozione lo renderà tenero e traboccante di comprensione e solidarietà; il lavoro darà alle mani qualcosa da fare, qualcosa che santifi cherà ogni minuto che vi è stato assegnato per vivere qui. Ecco perché per devozione s’intende la costante adorazione, lo stare vicini, sentire la divina Presenza, condividere la dolcezza della Divinità.

[5] L’anelito alla costante contemplazione di Dio vi induce ad intraprendere pellegrinaggi, a costruire e restaurare templi, a consacrare le immagini sacre. I sedici articoli necessari al culto con cui il Signore viene adorato soddisfano la mente che desidera ardentemente un contatto personale col Supremo. Tutto ciò è Karma [azione] di ordine superiore e conduce al conseguimento della Suprema Saggezza. All’inizio comincerete con l’idea ‘Io sono nella Luce’; poi si consoliderà in voi il sentimento ‘La Luce è in me’, che alla fine vi condurrà alla convinzione ‘Io sono la Luce’. Quella è la Suprema Saggezza. Vedete voi stessi in tutti, amate tutti come voi stessi. Un cane rinchiuso in una stanza fatta di specchi non vede sé stesso in quella miriade di riflessi, bensì rivali, avversari, altri cani contro cui abbaiare; perciò si sfianca a forza di saltare contro questo o quel riflesso e, quando anche l’immagine fa un salto, impazzisce dalla rabbia. L’uomo saggio, invece, vede sé stesso ovunque ed è in pace; è felice che ci siano così tanti riflessi di sé attorno a lui. Questa è l’attitudine che dovete imparare a coltivare e che vi salverà da inutili difficoltà e disagi.

Prashānti Nilayam, 7.07.1963

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da DISCORSI 1963 (Sathya Sai Speaks-Vol.III) ed.Mother Sai Publications
discorsi/1963/19630707.txt · Ultima modifica: 2016/02/23 15:18 da 127.0.0.1