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Discorsi Divini di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

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discorsi:1998:19980423

19980423 - 23 aprile

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Uomo, Verità, Amore e Dio

(Swami canta:)

Nessun testo sacro, né i Veda, né altre Scritture
permetteranno mai agli esseri umani
di allontanare, o più esattamente di distruggere,
il velo dell’illusione. È impossibile.
Voi trovate l’uomo da un lato del velo e Dio dall’altro.
La Causa sta dietro al velo e l’effetto davanti.

Incarnazioni dell’Amore Divino,

dai tempi antichi, in virtù della letteratura vedica e dei suoi effetti, l’India ha spartito con il mondo intero il suo tesoro di spiritualità, mantenendo fermamente il principio cardine, secondo il quale il mondo intero dovrebbe essere felice.

Oggi, l’uomo ha fatto dei grandi progressi nel campo scientifico e tecnologico, ma, giorno dopo giorno, i valori morali e la rettitudine declinano sempre più. L’uomo contemporaneo non è idoneo a sostenere la sua individualità se non in modo minimo, per il semplice motivo che tutto ciò che fa è impregnato di egoismo e d’interesse personale. Egli vive come una marionetta, i cui fili sono tirati dall’egoismo.

A causa dell’egoismo e degli interessi personali, l’uomo ha perso le sue qualità umane e alimenta sempre più la sua natura animale. La vita umana è un valore incomparabile e deve essere utilizzata per elevarsi. Se questa vita non giunge alla redenzione, alla liberazione, diviene un’offesa e motivo di vergogna.

L’uomo attuale non sembra sottomettersi alla minima disciplina; vuole seguire tutto ciò che è intorno a lui e pensare secondo le sue fantasie e i suoi capricci. In qualunque campo, è essenziale avere disciplina. Un corso d’acqua scorre, ma, se non ha rive, deborderà e inonderà interi villaggi. Se lo stesso corso d’acqua è delimitato in ogni lato da rive, diviene utile all’irrigazione.

Ecco le due rive del fiume dell’esistenza: una è un mantra di otto sillabe, Sraddhâvân labhate jnânam, la seconda è un altro mantra di otto sillabe, Samshayâtma vinashyate.

Cominciamo con il comprendere bene il senso di questi due mantra.

Samshayâtma vinashyate significa: “Colui che dubita perirà”. Finché l’uomo alimenta in sé dei dubbi, non potrà mai ottenere nulla; non potrà comprendere nulla, nemmeno un pochino. Dovrà essere totalmente privo di dubbi e andare avanti senza alcuna esitazione.

Sraddhâvân labhate jnânam, che rappresenta l’altra riva del nostro fiume della vita, significa: “La conoscenza è concessa a coloro che perseverano nello sforzo”.

Il fiume dell’esistenza scorre entro queste due rive e alla fine sfocia nel maestoso oceano della Divinità.

Quando un albero ha bisogno d’acqua, si devono innaffiare le sue radici nascoste sotto terra. Tutti capiscono che le radici, vale a dire ciò che è invisibile a occhio nudo, ciò che è nascosto, sono, di fatto, ciò che vi farà affrontare le conseguenze delle vostre attuali azioni. Se voi non innaffiate le radici e non le proteggete, l’albero dissecca e un albero secco non porta mai frutti.

Di conseguenza, l’uomo deve decidersi a sopprimere tutti i dubbi e a condurre una vita piena di determinazione. Se manteniamo questi dubbi, non avremo mai alcun successo in nessuna impresa.

Om namo nârâyanâya

È il Nome del Signore espresso in otto sillabe. Il vero sentiero è assolutamente senza dubbi. Il vero sentiero privo di dubbi è perfettamente riflesso nel mantra Samshayâtma vinashyate. Se non avrete assolutamente alcun dubbio, nulla vi sarà impossibile. Questo atteggiamento può essere paragonato alle radici dell’albero.

Shraddhâvân labhate jnânam rappresenta l’albero della vita. Le radici sono in basso e i frutti sopra. Fra i due ci sono i rami, le foglie, ecc. Perché l’uomo pianta degli alberi? Perché ne aspetta i frutti. Se non si aspettasse nulla, non li pianterebbe. Allora, qual è il frutto atteso dall’albero della vita? È il frutto della costante, totale coscienza. La fede completa costituisce le solide radici della vita.

La vita scorre; si dovrebbero diffondere sentimenti positivi. Quando abbiamo una sufficiente apertura di mente e di parola, il progresso è certo. È in questa ottica che i saggi e gli eruditi, come i genitori di un tempo, insegnavano il seguente mantra: “Il nutrimento è Brahmâ, la bevanda è Vishnu, la parola sacra è Shiva”.

È il cibo consumato che mantiene e sostiene il corpo, diffondendo la sua essenza in tutte le cellule. Per salvaguardare questo corpo, mantenerlo in pieno vigore e in uno stato soddisfacente, bisogna che la mente sia in perfetto equilibrio.

Chi è Maheshvara? Di fatto, la verità e la facoltà della parola sono pienamente realizzate se la mente, che è alla loro base, è rappresentata ed espressa attraverso di esse.

Il corpo denso è Brahmâ, la mente è Vishnu e la facoltà della parola è Maheshvara. Questi tre importanti aspetti della vita umana rappresentano la Trinità.

Il corpo umano è la forma di Brahmâ. In questo corpo si trova la mente, diffusa in tutto il corpo. Lo stesso nome di Vishnu significa: “Ciò che permea tutte le cose”. In effetti, la mente è dappertutto. Essa ingloba l’intero universo; si muove in ogni luogo. Maheshvara è simboleggiato dalla parola. È l’espressione verbale sonora.

Gli antichi, dapprima, definirono Dio come il suono primordiale, poi aggiunsero altre definizioni, come causa di movimento, luce, linguaggio, beatitudine, trascendenza, illusione, prosperità.

Con il linguaggio, esercitiamo tutti insieme gli otto poteri o forme della Divinità. Quindi, non dovremmo sottovalutare la vita umana. Vivere una vita umana autentica significa considerare la Divinità alla base di tutta l’esistenza.

Il corpo non vi è dato semplicemente perché abbiate membra, viso, mani, piedi, ecc. Dio vi ha dato un corpo perché voi comprendiate, pratichiate, diffondiate il principio del Dharma.

Che cos’è il Dharma? Si tratta della triade di ciò che è elaborato dalla mente, manifestato attraverso il corpo ed espresso con la parola. La vita umana, dunque, è l’associazione di pensiero, parola e azione.

Dio si manifesta in ogni vita umana. Noi non facciamo alcuno sforzo per cogliere chiaramente ciò; Dio è onnipresente. Noi erigiamo piccoli templi per questo Dio che risiede in ogni luogo, accendiamo una fievole luce, bruciamo delle pastiglie di canfora cantando l’âratî, offriamo cibo e acqua a questo Dio; l’uomo conduce così la sua esistenza conformandosi alle sue piccole idee ristrette e meschine.

(Swami canta:)

Per questo Dio che dimora in tutto l’universo,
è possibile costruire un tempio?
Che senso ha accendere una lampada a olio
davanti a questo Dio che ha lo splendore di milioni di soli?
Se non può essere compreso attraverso Divinità come Brahmâ,
chi può comprendere la Sua vera forma?
Se Dio Si muove liberamente in tutti gli esseri,
quale Nome potete attribuirGli?
Visto che l’intero universo risiede nel Suo stomaco,
che cibo Gli offrirete?
Poiché avete assunto un corpo fisico,
siete destinati a prendervi carico della vostra esistenza.
Che cosa dirvi ancora, o membri di questa augusta assemblea?

Incarnazioni dell’Amore Divino,

Dio è presente in ogni luogo; Dio risplende in tutte le creature viventi;. Dio risiede in tutte le acque dell’universo. Quando offriamo oggetti e compiamo gesti completamente privi di valore, abbassiamo Dio al nostro livello.

Dovremmo comprendere bene che il Creatore è al di là della creazione. Quando si parla di creazione, non si intende solamente la Terra, né la galassia, né lo spazio vuoto. Di fatto, l’intero sistema è inferiore al Principio Divino. Quando indirizzate a un tale Dio una misera adorazione, non pensate che, in senso generale, Lo umiliate?

Dakshinamurti, nell’intervento precedente, ha detto: “Questo vasto mondo può essere visto in un piccolo specchio”. Allo stesso modo il Dio cosmico e infinito può essere visto nel piccolo specchio del cuore umano. Questo Dio vasto, illimitato, ha la Sua dimora nel cuore dell’uomo.

Poiché Dio dimora nel vostro cuore, chi può compiere atti di adorazione in Suo favore?

Voi chi siete e che cosa rappresenta il vostro cuore? Quando, tutt’a un tratto, comprenderete la verità, vedrete che voi, come tali, non esistete. Il mondo intero è effetto della dualità.

Qui intervengono due elementi: l’“io” e il “quello”. L’“io” è il soggetto che vede; “quello” è l’oggetto visto. Il mondo è il risultato dell’interazione fra colui che vede e ciò che è visto.

In questa sala è seduta molta gente; è l’oggetto visto: ma chi è che vede? Io sono colui che vede. Questo “io” vede tutto ciò che è intorno: non soltanto altre persone, ma il Mio corpo fa anch’Esso parte degli oggetti visti. Colui che vede è il vero “io”.

Gli occhi, le orecchie, ecc. sono parti del corpo. Colui che vede è l’Eterno Testimone.

Non lasciamoci illudere dallo spettacolo; non lasciamoci travolgere dall’oggetto visto. La felicità non risiede nell’oggetto. La gioia non può essere che nel soggetto che vede e non nell’oggetto visto.

Gli occhi fisici non possono aiutarvi a percepire il Testimone. Per percepirlo dobbiamo sviluppare l’occhio della saggezza. Voi vi sforzate di raggiungere la liberazione utilizzando i vostri occhi fisici, ma sappiate bene che essi non vi daranno mai alcun risultato. È unicamente attraverso l’occhio della saggezza che potrete raggiungere la liberazione

Che cos’è l’occhio della saggezza? È la visione interiore.

Ecco un piccolo esempio. Nell’attuale vita, c’è una moltitudine di forme e possiamo scoprirvi ciò che è materia inerte e ciò che è coscienza. L’una e l’altra sono ugualmente divine, ma noi trascuriamo la parte inerte e sottovalutiamo una gran parte della coscienza. Questa coscienza è onnipresente.

Allo scopo di insegnarci questa grande verità spirituale, attorno al collo di Shiva sono raffigurati dei serpenti. I serpenti che Gli ornano il collo sono anch’essi oggetto di devozione da parte degli esseri umani. Appena però i serpenti si allontanano dal collo di Shiva, sono soggetti a persecuzione da parte di quegli stessi esseri umani. Che cos’è dunque che attribuisce importanza ai serpenti? È unicamente la compagnia di Dio.

Prendiamo il caso di Vinâyaka (Ganesha). Ai Suoi piedi è raffigurato un topo e gli viene offerto del cibo benedetto. Il topo beneficia dell’adorazione indirizzata a Vinâyaka, ma, se si allontana, sarà ben presto intrappolato e ucciso.

Quindi, chi si trova in compagnia di Dio riceve naturalmente la stima e il rispetto.

Noi dovremmo conoscere la fondamentale verità secondo la quale siamo essenzialmente divini. Come differenti membra e organi sono nel corpo, così una moltitudine di forme sono nella forma cosmica di Dio. Tutte le forme sono divine.

Dio ha migliaia di teste, di piedi, di mani, di occhi.

Che cosa simboleggia questa frase: “Dio ha mille occhi?” Vuole dire che i nostri occhi Gli appartengono, tutte le nostre teste Gli appartengono, tutti i nostri piedi sono i Suoi.

Se orientiamo la nostra robusta fede in questa direzione, saremo in grado di comprendere Dio.

L’oratore precedente, che ha parlato in lingua kanarese, ha detto che, quando vediamo un’immagine di pietra del toro Nandi, ci prostriamo davanti a lui e gli offriamo i nostri omaggi. Però, quando siamo a fianco di un toro in carne e ossa, lo bastoniamo di santa ragione.

L’uomo adora un’immagine senza vita, ma maltratta gli esseri viventi: è il risultato dell’ignoranza! Tutte le forme sono divine, tutti i nomi sono divini.

In primo luogo, dovremmo fare del nostro meglio per comprendere questa verità perché di fatto Dio permea tutte le cose, dalla forma minuscola fino agli esseri giganteschi.

(Swami canta:)

Dio, io non posso né raccontarTi, né esprimerTi.
Mi è possibile fare le Tuoi lodi?
Chi Ti può lodare, chi può descriverTi?
Nessuno può raccontarTi pienamente.
Tu sei più minuscolo e sottile di un atomo;
Tu sei più vasto del macrocosmo.
Tu dimori sotto forma essenziale in ciascuna
delle 8.400.000 specie che popolano la Terra.
Tu Ti estendi, Tu muovi tutto e dimori in tutto,
dal microcosmo al macrocosmo.
Posso io decidere ciò che è vero e ciò che è falso?

A questo mondo, non c’è nulla di falso. Le persone, sbagliando, dichiarano che tutto è menzogna. Se in un luogo speciale esistesse la verità, noi la cercheremmo in quel luogo; ma la verità è presente dappertutto. Se a casa vostra avete la luce, che bisogno avete di andare a prendere in prestito una lampada dal vostro vicino? Alimentate la vostra luce. Nulla è più importante di ciò. È l’infinita luce dell’amore, la luce della non dualità. È la luce della vita che è presente in ognuno.

La luce della vita dimora in noi stessi, ma noi andiamo alla ricerca della luce attorno a noi. Se la vostra luce risplende, perché avete bisogno di un’altra? Per vedere bruciare la fiamma della vostra lampada, avete bisogno di un’altra lampada? Questa stessa luce, che brilla in tutto il suo splendore, è in voi.

Per vedere la Luna, non avete bisogno di una torcia elettrica. È la stessa luce lunare che vi permette di vederla. Per mezzo della luce della vita, potrete vedere la luce divina, la luce del Principio atmico. La luce della vita è un riflesso della luce divina. È per questo che nella Bhagavad Gîtâ Krishna dichiara: “Tutti gli esseri sono scintille della Divinità”.

Bisognerebbe comprendere bene la relazione che esiste tra la Divinità suprema e il Suo riflesso, l’umanità. L’individuo è Dio e Dio è l’individuo. Se afferrerete l’unità esistente tra l’individuo e Dio, potrete comprendere la Divinità.

Sacchidânanda, poc’anzi, ha menzionato sharanâgati, la sottomissione dell’ego. Ciò implica l’esistenza di tre elementi: la persona che si sottomette, colui al quale ci si sottomette, l’atto stesso della sottomissione.

Dal punto di vista mondano, se si sottrae uno dei tre elementi ne restano due ma, in campo spirituale, tre meno uno, fa uno. Com’è possibile? Illustriamo ciò con un esempio: voi disponete di uno specchio e, standogli davanti, vedete la vostra immagine riflessa in esso. Ci sono dunque tre elementi: voi, il vostro riflesso e lo specchio. Adesso togliete lo specchio; il vostro riflesso è anch’esso sparito. Ciò che rimane, voi stessi, è l’unica verità.

Perciò, per poter riconoscere e sperimentare la Divinità in se stessi, bisogna che diminuisca il nostro attaccamento al corpo. Il corpo è simile a uno specchio. La natura individuale è vista in esso come un riflesso. La cosa fondamentale, che è alla base di tale riflesso, è il principio atmico. L’individuo e Dio sono Uno, ma fra di essi c’è uno specchio.

In questo specchio, che è il mondo, noi vediamo una moltitudine di forme. Tale specchio è fatto d’argilla; è il mondo. L’intero universo è divino. Poiché tutto è essenzialmente divino, non possono esistere differenze.

A questo proposito, gli antichi saggi e gli eruditi dichiararono: “La Verità è una, benché sia espressa con un’infinità di nomi”. Non dovreste mai frammentare l’unità e ridurla a una molteplicità; dovreste avere una fede totale nell’unità attraverso la diversità.

Incarnazioni dell’Amore Divino,

voi avete assunto una forma. L’amore divino è uguale in tutti. Se fondate tutto sull’amore, comprenderete che ogni cosa proviene dall’amore. Nessuno può essere privato di questo amore.

Dio è amore, vivete nell’amore.

Questo amore non ha principio né fine; è più piccolo di un atomo e più vasto dell’infinito. Non potete frammentare né segmentare questo amore, perché è senza limiti: ogni cosa è la forma dell’amore. Esso permea tutte le cose: tutti i sentieri spirituali sono i sentieri dell’amore; tutte le pratiche spirituali si riferiscono all’amore. L’obiettivo dell’esistenza è la realizzazione dell’amore.

In questo vasto mondo l’amore è sempre presente. Dovreste farne esperienza e non abbandonarlo in alcun momento.

In questo soggiorno terrestre, lungo la nostra esistenza, si arriva ad avere degli eccessi di sentimenti negativi, quali la gelosia, l’avversione, l’orgoglio, ecc. Potete considerare anche la gelosia una forma d’amore; allora non avrete astio verso nessuno. Quando odiate? L’odio o l’avversione esistono allorché ci sono due persone. Quando ci sono differenze, la gelosia trova terreno d’espressione.

Sicuramente ci sono due persone, ma non ci dovrà essere che un solo sentimento comune. Benché le lampadine siano numerose, la corrente elettrica è unica in tutti. Allo stesso modo, la corrente dell’Âtma è presente in tutti gli esseri sotto forma di principio di vita. Perciò, la Verità è Una ed è presente in ognuno.

Bisognerebbe che coltivassimo uno spirito d’unità e d’amore, e che ci trasformassimo in forme divine. È questa la vera pratica spirituale. Non dovremmo adorare delle forme minori né impantanarci nella marea dei nomi. Non limitiamo la Divinità a un Nome e a una forma. Agendo così, non facciamo che velare e abbassare lo splendore e il reale fulgore della Forma Divina. Tutte le forme appartengono a Dio.

È con tale sentimento nel cuore che Râdhâ vide realizzarsi tutte le sue speranze.

Guardate, per esempio, la farfalla. Elabora un bozzolo, vi mette il bruco, riempie tutti i buchi e comincia a emettere un suono. All’interno del bozzolo, il bruco non sa assolutamente nulla del mondo esterno. È il suono prodotto dalla farfalla che crea l’atmosfera attorno al bruco: esso non sente altro che il suono costante e regolare e, sotto tale effetto, si trasforma in farfalla. Allo stesso modo, poiché avete assunto una forma umana, coltivando e accrescendo, tutti i giorni di più, i vostri sentimenti divini, vi trasformerete anche voi in forme divine.

Colui che conosce il Brahman diviene il Brahman stesso.

Però, per conoscere il Brahman e conservare in noi disposizioni divine, dovremmo pensare al Brahman in ogni istante dell’esistenza. In ogni luogo, dappertutto e in tutte le circostanze, dovremmo mettere tutto in pratica e lottare con tutte le nostre forze per raggiungere la Divinità.

Non è necessario correre attraverso il mondo spendendo molto denaro. Voi non avete bisogno di esaurirvi e di sfinirvi nell’attesa di vedere la Divinità. Non dovete spendere alcuna somma di denaro. Vi basterà considerarvi come Krishna, come Râma, come Ishvara, come divini.

I vostri nomi vi sono stati dati dai vostri genitori; non siete nati con quei nomi. I genitori vi hanno dato il vostro corpo, ma Dio vi ha dato il cuore spirituale. Non potete cederlo a nessuno; esso non può essere controllato da alcuno.

La forma del vostro corpo e il nome che gli è attribuito sono doni venuti dai vostri genitori, ma nessuno può darvi il Cuore Spirituale. È la vostra essenziale vera natura. Non è un regalo che si può ricevere o che si può donare a un amico.

Di fatto, dovreste fare tutto il possibile per dare, dare, dare, sempre dare, senza ricevere. Il vostro Cuore Spirituale dovrebbe essere una via a senso unico. Se è a doppio senso, cadete nella dualità. Donate, dunque, senza ricevere in cambio. Il cuore è unico. Coltiviamo questa unità.

Fin quando voi non avrete raggiunto questo livello, dovrete perseguire un sentiero spirituale. La meta è spirituale. Certamente, voi potete praticare alcune discipline spirituali. Non c’è alcun male in ciò. Però, ahimè, nelle vostre pratiche spirituali, voi perseguite abitudini mondane; il rosario vi scorre fra le dita e la mente continua le sue elucubrazioni. Ripetete meccanicamente un mantra, ma avete la testa agli affari. In nome della meditazione, vi sedete nella posizione del loto, ma, se una mosca sfiora la vostra schiena, reagite immediatamente. Questa è davvero meditazione? Che cosa avete da perdere, così corpulenti come siete, se una povera piccola mosca vi sfiora?

Se una piccola zanzara vi punge, voi ne fate motivo del vostro attaccamento per il corpo. Non siete nemmeno capaci di sopportare una piccola puntura di zanzara! Il vostro corpo è diventato così fragile! Molto semplicemente, perché è impregnato dai vostri pensieri negativi. Non riponete mai la vostra fiducia in questo corpo; può arrivargli qualsiasi cosa. Qualunque cosa gli capiti, riguarderà solo il corpo, non l’Âtma.

L’Âtma è Dio e il corpo è il Suo tempio. L’Âtma è divino, antico e dimora nel corpo di ciascun individuo. Quindi, comprendete bene la relazione che esiste tra il corpo e l’Âtma.

Il corpo possiede più parti: tutte le parti appartengono al corpo. Qual è l’origine di questo singolo corpo? La società! Qual è l’origine della società? La Natura! Qual è l’origine della Natura? Dio! Quindi, la Natura è l’effetto della manifestazione divina. Tutto si succede gerarchicamente.

Conducendo la vostra ricerca in questo modo, dovreste comprendere il senso dell’Unità, dell’Uno. Gli antichi sacerdoti bramanici cominciavano le loro lezioni con la recitazione del mantra: “Il nutrimento è Brahmâ, la bevanda è Vishnu, la parola sacra è Maheshvara”.

Il cibo che consumate circola in tutto il corpo sotto forma di sottile d’energia. Esso ci dà energia. “O Dio, io ho bisogno di energia per servirTi”. L’energia ci è data per questa ragione.

La bevanda è Vishnu; la mente è Vishnu. “O Dio, proteggi questo corpo e permettigli di evolvere nella giusta direzione. Dammi una buona mente in modo che le mie azioni siano buone”.

La facoltà della parola è Shiva. “O Dio, concedimi uno spirito puro, affinché io parli di cose sacre”.

Quindi, noi abbiamo la Trinità: Brahmâ, Vishnu e Maheshvara.

Il corpo è Brahmâ, la mente è Vishnu, la parola è Maheshvara. È assolutamente essenziale proteggere questa trinità nel nostro corpo.

Il corpo è dunque privo dei tre attributi. È per questo che offriamo a Shiva le foglie dell’albero bilva che hanno tre lobi. Essi simboleggiano il corpo, la mente e la parola.

Il Principio primordiale è atmico. Su questa base, Sat-Chit-Ânanda (i tre attributi) sono in stretta relazione con sharanâgati, la sottomissione o l’offerta di sé a Dio. Il principio di unità è autentica sottomissione.

Un giorno, quando Râma era in esilio nella foresta, con Sîtâ e Lakshmana, arrivò alla montagna Chitrakûta. Râma fece finta di essere molto stanco e disse a Lakshmana: “Fratello Mio, tua cognata è fiaccata dal lungo cammino. Poiché dobbiamo restare in questa foresta per dieci anni ancora, ti prego, costruiscici una piccola capanna per il nostro soggiorno”.

Lakshmana chiese: “Dove la costruisco?” Râma rispose: “Oh, dove vorrai. Decidi tu stesso!”

Lakshmana cadde al suolo come colpito dal fulmine e domandò singhiozzando: “Râma, quale errore ho commesso?”

Sîtâ fu sorpresa da quell’atteggiamento e gli domandò: “Che cosa ti ha detto tuo fratello? Non ti ha accusato di nulla, non ti ha percosso; perché ti rattristi così?”

Lakshmana rispose: “Giovane sposa, non posso avere castigo più grande di questo. Ho abbandonato tutto ai Piedi Divini di Râma: la mia sposa, i miei figli, il mio regno e me stesso; ed ecco che Râma mi dice di scegliere io stesso il luogo dove erigere una capanna! Può esserci una penitenza più dura di questa? Esistono parole più dure?”

Vedendo in che stato si trovava Suo fratello, Râma, pieno di compassione, gli si avvicinò teneramente e gli disse: “Andiamo, non essere triste! Puoi costruire la nostra capanna qui”, e gli indicò il luogo.

Ogni giorno Râma e Lakshmana facevano il loro giro di ronda, assicurando la protezione di Sîtâ seduta nella capanna.

Un giorno, Lakshmana guardava i Piedi di Râma, ai quali si era sottomesso completamente, ma, divenendo subito nervoso, disse: “Fratello mio, io non posso restare qui più a lungo. Non posso sopportare le Tue parole dure! Ti lascio e me ne vado!”

Râma gli disse sorridendo: “Aspetta un momento”.

Lakshmana fece qualche passo e andò vicino alla capanna, poi si sedette all’ombra di un albero per gustarsi un po’ di frescura. In quel mentre, il suo stato d’animo si trasformò di nuovo. Râma, diplomaticamente, gli chiese: “Lakshmana, quando vuoi partire per Ayodhyâ?”

“Che cosa devo fare in città? - domandò Lakshmana - Tu sei tutto per me. Nemmeno in sogno mi verrebbe la folle idea di lasciare la Tua compagnia e di ritornarmene solo ad Ayodhyâ”.

Râma gli fece notare: “Appena un istante fa, hai detto di volertene andare ad Ayodhyâ”.

Lakshmana continuò: “Non so neppure perché mi sia venuta quell’assurda idea”.

Râma proseguì dicendogli: “Lakshmana, è il mistero dello spazio nel quale ti stai muovendo. Volevi lasciarMi perché in quel momento noi attraversavamo il territorio di Shûrpanakhâ, figura femminile di demone che crea le separazioni. Però, appena siamo usciti da quella regione, la tua mente è tornata al suo stato normale. La montagna Chitrakûta è un luogo riservato ai santi e ora, che siamo entrati nel territorio di questa montagna, i nostri sentimenti sono diventati divini”.

Quindi, il luogo dove viviamo deve essere anch’esso sacro. Non dovremmo scegliere per dimora luoghi frequentati da gente malevola e codarda. Fuggite le cattive compagnie.

Se una persona malvagia è vicino a voi, essa vi resterà incollata alle calcagna. State vicini alle persone buone e nobili.

Dovreste trascorrere tutto il vostro tempo, giorno e notte, in azioni meritorie. Dovreste anche interrogarvi su ciò che è effimero e ciò che è permanente.

Questa natura è temporanea, gli edifici sono temporanei, tutto ciò che percepite con i vostri occhi fisici è momentaneo; ma la verità eterna è il Principio atmico: ciò che veramente importa è la sottomissione all’Âtma.

Coltivate in voi il Principio atmico: pensando costantemente al Principio atmico primordiale, potrete adoperarvi per la vostra redenzione.

Quando intraprendete una qualunque pratica spirituale, Dio vi protegge; è con voi, attorno a voi, sopra di voi e in voi.

(Swami conclude il Discorso cantando: Govinda Krishna jai, Gopala Krishna jai…)

Sai Shruti, Kodaikanal, 23 aprile 1998

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