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Discorsi Divini di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

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discorsi:1998:19981012

19981012 - 12 ottobre

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

IL CULTO DEI PIEDI DIVINI

(Swami canta:)

Un uomo può essere ferrato nella conoscenza
di tutti i testi sacri, Shâstra, Purâna e Veda,
ed essere provetto nel commentarli;
oppure essere un re guerriero dalle numerose vittorie.
Senza devozione nel cuore, le sue capacità sono senza valore.
Un uomo sinceramente devoto a Dio
è più grande di tutti i maestri del mondo.

Quando si strofinano l’uno contro l’altro
due piccoli bastoni di legno, si crea del fuoco.
Sbattendo lungamente nella zangola il latte,
si ottiene del burro.
Attraverso una ricerca costante,
si finisce per trovare il messaggio spirituale
nel nostro stesso corpo.
Questa è la verità oggi annunciata.

Fin dalla creazione, fra tutti gli esseri viventi, la vita umana è di gran lunga la più preziosa e la più nobile. Poiché si è assunta una condizione così nobile, se non si cerca di conoscere la propria Divinità interiore, l’esistenza umana perde ogni senso.

I devoti, naturalmente, devono affrontare ogni sorta di difficoltà, problemi, turbamenti, agitazioni, tormenti e ostacoli.

Più un diamante viene tagliato, più acquista valore e splendore. Allo stesso modo, un individuo deve affrontare numerosi ostacoli per comprendere e sperimentare la sua Divinità interiore. Ciononostante, la devozione non dovrebbe diminuire.

(Swami canta:)

È la devozione che conferisce la spiritualità.
È la devozione che guarisce le malattie derivanti dagli incessanti cicli di nascita e morte.
È la devozione che, alla fine, dona la Liberazione.

È possibile che voi, senza motivo, subiate biasimi e accuse, ma è la devozione che vi proteggerà da essi.

Un tempo, nel Tamil Nadu, c’era un fiorente reame: il regno di Pandya. Il re era un grande amante di cavalli; egli ambiva ad aumentare il numero dei suoi destrieri e mandò il suo ministro, accompagnato da un gruppetto di sudditi, alla ricerca di cavalli purosangue, in diversi luoghi del reame.

Il re era molto attento alla corretta educazione dei giovani, in modo che crescessero e si fortificassero armoniosamente, e potessero costituire un esempio per gli altri sudditi.

Il ministro arrivò in un villaggio chiamato Perundurai ove fece la conoscenza di un grande santo, Balayogishvara. Poiché non voleva perdere quel piacevole incontro, si unì alla compagnia e ascoltò, con la più grande attenzione, gli insegnamenti che esponeva il santo.

Era tanto assorto nell’ascolto del discorso, che dimenticò completamente se stesso, e fu talmente colpito ascoltando le sacre parole uscite dalla bocca del sant’uomo, che la sua fede si fece forte e lo indusse ad apprezzare sempre più il santo.

L’India contiene, nella sua vasta popolazione, un gran numero di anime nobili.

Dall’antichità, grazie alla forza della sua spiritualità, l’India è stata una garanzia di pace e sicurezza per il resto del mondo. In rapporto alle altre nazioni, l’India ha assunto il ruolo di maestra di spiritualità.

Il ministro finì ben presto per dimenticare completamente la missione affidatagli dal re e passò giorni ad ascoltare gli insegnamenti del maestro e a perdersi nella contemplazione di Dio. Un giorno, vide un tempio dedicato a Shiva in un pietoso stato di rovina.

Siccome il re gli aveva affidato del denaro per l’acquisto dei cavalli, pensò fosse opportuno utilizzare quel denaro per il restauro del tempio.

Il re venne informato della cosa; era anch’egli un devoto di Dio, ma, dato che il ministro aveva disubbidito ai suoi ordini, inviò i suoi soldati ad arrestarlo e ricondurlo a palazzo.

Quando il ministro comparve davanti al re, questi gli domandò in che modo avesse speso il denaro che gli era stato affidato al preciso scopo di acquistare cavalli.

Il ministro rispose: “Maestà, ho speso quel denaro per Dio! Poiché tutto è dono divino, non ho fatto che restituire a Dio ciò che Gli apparteneva. Non ho solo restaurato il Suo tempio, ma mi sono anche completamente abbandonato a Lui”.

Il re gli domandò: “Come giustifichi il fatto di aver speso per un altro scopo i soldi a te affidati per una precisa missione?” Il ministro replicò: “Maestà, non ho speso quel denaro in cose mondane, transitorie, effimere, insignificanti. Ho speso tutti i soldi in un’impresa sacra, elevata, splendida”.

Il re divenne sempre più furioso a mano a mano che l’uomo rispondeva alle sue domande e finì per metterlo in prigione. Il ministro non ne fu affatto turbato. Nella sua cella si mise a pensare agli insegnamenti del santo Balayogishvara e li redasse sotto forma di versetti poetici. Ogni giorno componeva una serie di versetti. Quest’opera è conosciuta sotto il nome di Tiruvachakam, che significa “sacra lettura.” Attraverso ogni parola, vi si percepisce la santità. Scrivendo questi inni di lode al Signore, il ministro era immerso nella beatitudine e perse completamente la nozione del tempo.

Un giorno, il re decise di andare a trovarlo in prigione. Non appena si avvicinò, vide un alone di luce e di splendore tutt’intorno alla testa del ministro e ne rimase stupefatto. Si chiese come fosse possibile che, stando in prigione, quell’uomo avesse acquistato un tale fulgore. Era la costante contemplazione di Dio ad aver provocato quella grande trasformazione nel ministro. Egli era il famoso santo Manikavachagar, ben conosciuto nel Tamil Nadu. La sua opera è uno dei testi sacri che riflette l’essenza dei Veda e delle altre Sacre Scritture.

Dai tempi antichi, fino ai nostri giorni, nel Tamil Nadu ci sono stati grandi santi di tal sorta. Il numero dei templi e le forme di adorazione che si trovano nel Tamil Nadu, non hanno uguali in nessun altro luogo. Alle prime luci dell’alba, la gente si reca al tempio, vi fa delle offerte e cerca la compagnia del Signore, perché la Divinità interiore possa sbocciare in loro.

C’era un altro santo, di nome Tiruvalluvar. Era un tessitore e aveva l’abitudine di tessere un solo sari al giorno, che poi vendeva al mercato per nutrire la sua famiglia. Laddove si trova il bene, dimora anche il male, perché bene e male camminano fianco a fianco.

Da nessuna parte esiste soltanto il bene, senza che il male sia presente: ciò costituisce le difficoltà che fortificano i buoni e conferiscono loro la felicità. Il piacere e il dolore, la felicità e le preoccupazioni sono interdipendenti e inseparabili. L’oggetto e il suo riflesso, il bene e il male esistono insieme.

Dunque, nello stesso villaggio viveva il figlio di un uomo molto ricco, che passava i suoi giorni ad oziare e ad andare in giro senza meta. Quando abbonda il denaro, l’ego si espande e suscita nell’uomo vizi e tratti nefasti. Al contrario, quando la ricchezza se ne va, tutti i vizi, come per incanto, se ne vanno al suo seguito.

Un giorno, quel figlio del ricco andò a trovare Tiruvalluvar e gli domandò: “Qual è il prezzo di questo sari?” Tiruvalluvar rispose che costava quattro rupie (all’epoca, i prezzi erano molto modesti. Lo stesso sari, oggi, costerebbe 4.000 rupie!).

Il ragazzo era ben conosciuto nel villaggio per la sua arroganza e la sua presunzione. Afferrò il sari e lo strappò in due pezzi e poi si informò sul prezzo di una delle metà. Tiruvalluvar gli rispose che una metà del sari costava due rupie. Siccome era lanciato nelle sue provocazioni, il giovane ricco strappò in due parti il mezzo sari che teneva in mano e domandò il costo di uno dei pezzi. Tiruvalluvar, senza scomporsi, rispose che costava una rupia.

L’imperturbabile atteggiamento del tessitore provocò una specie di metamorfosi nello spirito del giovane, che disse fra sé: “Benché abbia fatto a pezzi, senza alcuno scrupolo, il frutto di una giornata di lavoro, il tessitore è rimasto imperturbabile e gentile! Sebbene l’abbia trattato in modo oltraggioso, egli non ha alcuna collera verso di me”.

Allora, il ricco giovane si gettò ai piedi di Tiruvalluvar e implorò il suo perdono. Riconobbe di aver commesso quelle cattiverie a causa della sua arroganza, perché si sapeva ricco e ne aveva tratto dei vizi. Andò, in seguito, a casa di suo padre, domandandogli di pagare l’intero prezzo del sari e depose quel denaro, rispettosamente, ai piedi del tessitore.

Numerosi grandi santi di questa levatura hanno vissuto nel Tamil Nadu. Anche nella storia recente, vediamo grandi anime come queste comporre testi che si ispirano ai Veda.

Sfortunatamente, il governo di questo stato non riconosce la grandezza di questi santi uomini. Si accontenta di posare le loro statue lungo le spiagge, perché siano venerate dalla gente del luogo. Non sono le statue di questi santi ad essere importanti, ma i loro insegnamenti.

Il miglior modo per divulgare gli insegnamenti, è metterli in pratica. Il corpo umano è costituito da molte parti: le mani, le gambe, la testa, gli occhi, il naso, le orecchie, ecc. Questo corpo è una parte del corpo della società. La società è una parte dell’umanità. L’umanità è una parte della natura e la natura è una parte della Divinità. Tale natura, che è parte della Divinità, rappresenta la base delle capacità umane, che sono i Valori Umani.

I Veda proclamano: Satyam vâda, dharman chara, “Dì’ la Verità, agisci nella Rettitudine”.

La vita umana si basa su due princìpi gemelli: Verità e Rettitudine. Noi dobbiamo considerare i Valori Umani come la via regale che sbocca nella società. Infatti, se non ci sono individui, non ci sarà società e, senza società, non c’è il paese.

Di conseguenza, nella società l’individuo è importante ed è provvisto di un corpo composto da numerose parti. Bisogna che egli utilizzi con sagacia ogni parte del suo corpo e che la riservi a fini sacri. Con le mani, fate il bene. Le vostre mani sono un dono di Dio. Con gli occhi, guardate tutto questo spettacolo divino. Con le orecchie, ascoltate canti sacri. Utilizzate il vostro linguaggio per formulare parole sacre.

Non vedete il male, vedete solo il bene.
Non ascoltate il male, ascoltate solo il bene.
non dite il male, parlate solo del bene.
Non fate il male, fate solamente il bene.
Questo è il cammino che porta a dio.

Il corpo vi è dato per compiere azioni giuste. Perché fate un cattivo uso di questo dono di Dio? Manikavachagar pregò in questi termini: “O Dio, accetta questo cuore che Tu mi hai donato. Te lo restituisco in offerta. Che cos’altro potrei offrirTi? Il mio cuore e tutto ciò che ne scaturisce sono Tuoi doni. Io Ti restituisco questi doni preziosi”.

Gli uomini di oggi hanno dimenticato i sacri ideali del passato; questi valori non hanno più posto nel loro cuore. Essi si lasciano trasportare da desideri bassi e meschini, sono affascinati da questo mondo effimero e transitorio, scelgono il sentiero della menzogna e della corruzione.

Quali furono gli insegnamenti dati da Adi Shankarâchârya, nativo del Kerala? Lo stato del Kerala confina con il Tamil Nadu. Shankara disse:

(Swami canta:)

La vita nel mondo non è permanente.
La giovinezza, i beni, gli affetti, la famiglia vanno in fumo.
Solo la Verità e la Reputazione perdurano nel il tempo.

Createvi, dunque, una buona reputazione e dite sempre la verità. Seguite il cammino della Verità. Che la Verità sia il vostro soffio vitale!

(Swami canta:)

La Verità è Dio. Da questo punto di Verità, Dio fa fluire tutta la creazione.
Alla fine, la creazione ritorna alla Verità e s’immerge in essa.
C’è un solo luogo che sia privo di Verità?
È questa Verità immacolata, non duale, onnipresente
che permea tutte le cose.

La bolla, nata dall’acqua, si mantiene a galla e, infine, scoppia e s’immerge nell’acqua .Allo stesso modo, l’uomo è come la bolla e Dio è come l’acqua. Infatti, l’uomo è nato dall’amritam, l’immortalità, ma si perde in anritam, la menzogna. Non è quello il vero scopo dell’esistenza. L’uomo moderno ha sviluppato la sua intelligenza, è diventato un esperto in numerosi campi dell’esistenza fenomenica. Ma, a quale pro?

Noi dovremmo, piuttosto, essere esempi di moralità e di sincerità nella società. Infatti, tutto ciò che impariamo deve essere messo in pratica a beneficio della società. Tutta la nostra istruzione deve servire a fare progredire i nostri fratelli e non soltanto a farci guadagnare da vivere. L’istruzione ha come obiettivo di farci praticare il Dharma, la Rettitudine, e non di farci accumulare dhanam, il denaro.

Il mondo intero è basato sulla legge del Dharma. Non esiste nulla che ne sia superiore; è la nostra vera forma. È questa forma autentica che dovremmo realizzare. La vita umana è altamente sacra. Come possiamo spingerla così in basso? Il corpo umano è provvisto di tante parti e ciascuna è in stretta relazione con tutta la creazione. Il corpo fa parte integrante della creazione. Ma, guardate che cosa fate del corpo! Voi lo impiegate senza sosta per scopi banali, insensati, effimeri. Noi pensiamo di poter trovare la felicità a questo mondo, ma non troviamo che angoscia e sofferenza. Questo mondo è descritto dalla Bhagavad Gîtâ come: Anityam asukham lokam, “Mondo di sofferenza ed evanescenza”.

(Swami canta:)

O uomo, non inorgoglirti delle tue ricchezze,
delle tue relazioni, né del tuo vigore giovanile.
Tutto ciò può sfuggirti di mano in un solo istante
ed esserti sottratto da Yama, il Dio della morte.

La vanità per i beni materiali, la posizione sociale, la giovinezza, l’istruzione, le amicizie, ci acceca e ci fa credere che essi siano eterni. Shankara mette in guardia dicendo che tutto ciò non è che temporaneo, momentaneo e non ci procura alcuna nobile reputazione. Come possiamo passare tutta l’esistenza alla ricerca di quelle cose? No!

Dovremmo passare l’esistenza nel modo giusto. Per tutto il tempo che il nostro corpo si muove sulla Terra, dobbiamo accogliere allo stesso modo sia l’uomo buono che il malvagio. Bene e male camminano mano nella mano. Per coltivare in noi una mente equanime, dovremmo accogliere allo stesso modo il dolore e la gioia, il cattivo e il buono.

Il viso delle persone sante è sfolgorante di luce. Tuttavia, quando invitiamo nella nostra casa un grande essere, non è il suo viso che entra per primo, ma il suo piede. In effetti, noi pensiamo che il viso sia il solo ad essere sacro, ma anche i piedi lo sono. Essi sono il veicolo del corpo: senza i piedi, esso non può andare da nessuna parte. I piedi di loto del signore

devono trovar posto nel vostro cuore

Poiché il cuore è il tempio di Dio, Egli vi si instaura stabilmente. Senza dubbio, la venerazione esteriore dei Piedi del Signore è importante, ma deve pervenire sempre più, giorno dopo giorno, a un’adorazione interiore nel vostro cuore.

Un giorno Nârada andò accanto al Signore Nârâyana per farGli qualche domanda e disse: “Nârâyana, ci sono molte difficoltà sul mio cammino. In alcune circostanze non riesco a prendere una decisione. Vorrei consultarTi, ma non so dove esattamente sei; risiedi nel Kailâsa, nel Vaikuntha o nello Svarga?”

Nârâyana rispose: “Nârada, ascolta attentamente; ti do il Mio indirizzo permanente: Io risiedo nel cuore di tutti i devoti che cantano le Mie lodi. Kailâsa, Vaikuntha e Svarga non sono che Mie succursali”.

Dio non risiede in qualche terra lontana;
Egli dimora nel vostro cuore.

Non si tratta, ovviamente, del cuore fisico. La Sua residenza è Hridaya, il vostro Cuore spirituale, pieno di compassione, onnipresente. Esso è ovunque. Ieri, durante lo svolgimento del rituale dei Paduka, i pandit cantavano: Tadeva lagnam sudinam tadeva, “Questo tempo è un momento propizio”. Non si tratta, certo, di un tempo fissato in anticipo, un tempo che si dedica a un’attività precisa. Questa espressione si riferisce a ogni momento in cui si pensa a Dio, a ogni periodo di tempo che si rende sacro, volgendo il proprio pensiero alla Divinità.

Il tempo è Dio. Non perdete il vostro tempo.
Perdere il proprio tempo equivale a perdere la propria vita.

Tadeva lagnam significa che, ogni volta che si pensa a Dio, è un momento propizio.

L’uomo dispone di tutti gli agi e di tutte le comodità; è dotato di una buona intelligenza, di un intelletto raffinato e, tuttavia, non è in grado di raggiungere la meta. Egli dovrebbe rafforzare la sua determinazione.

Guardate, per esempio, il Garuda, l’aquila: ha delle ali potenti che le permettono di solcare il cielo, ma, se non ne ha voglia, non si sposterà di un millimetro. Una formica è capace di percorrere chilometri senza fermarsi, se lo vuole. È in questa determinazione che risiede la Divinità.

Tyâgarâja cantava così:

“O Râma, Tu sei presente in tutto,
Tu sei nella formica come sei in Brahmâ.
Tu sei in Shiva e in Keshava (Krishna),
Tu sei onnipresente.
Non c’è alcun luogo ove Tu non sia presente.
Tutti i nomi ti appartengono”.

Oggi, però, l’uomo è trasportato dalla corrente dell’illusione e non realizza questa verità. Se Brahmâ vi si manifestasse davanti, voi chiudereste gli occhi e vi prostrereste ai Suoi piedi, ma, se lo stesso Brahmâ viene a voi sotto forma di formica e vi pizzica, la uccidete all’istante. Perché uccidete le formiche che sono l’espressione della Divinità?

L’uomo grande e nobile è colui che armonizza i suoi pensieri, le sue parole e le sue azioni. Se dichiarate che Dio è ovunque, anche nella formica, perché la uccidete?

Voi siete diventati talmente deboli che non sopportate nemmeno uno puntura d’insetto. In questa epoca moderna, l’uomo non ha fatto che indebolire il suo carattere. Se una zanzara si posa su di voi una prima volta, la scacciate gentilmente; la seconda volta, avete già un’aria seccata e la terza volta… ciac!, la uccidete senza alcuna pietà.

Tutti i nostri vecchi rishi, osservavano un lungo periodo di penitenza, a volte, per parecchi anni consecutivi. Durante quel tempo, non prestavano alcuna attenzione ai serpenti e agli scorpioni che passavano sul loro corpo. Spesso, si dimenticavano di mangiare e bere.

Tutto ciò vuol dimostrare quanto l’uomo moderno abbia sviluppato attaccamento al suo corpo fisico; egli non è attaccato all’Âtma, allo Spirito. Quando si è attaccati all’Âtma, il corpo non è più oggetto di attaccamento.

Voi dovreste essere pronti a sacrificare il vostro corpo. Né la posizione sociale, né il denaro vi daranno mai l’immortalità. Anche se scrutate la vostra esistenza con una torcia elettrica, non vi troverete l’ombra del sacrificio. Alcune persone lasciano i loro sandali all’esterno del mandir e vengono a sedersi per cantare i bhajan, ma la loro mente è costantemente fissata sui loro sandali, lasciati all’esterno.

Un giorno, Shrî Ramakrishna Paramahamsa stava tenendo un discorso in un tempio. Tra i discepoli che lo ascoltavano, si era seduta, proprio di fronte al maestro, la regina Rasamani, proprietaria del tempio. Tutti erano catturati dalle parole di Ramakrishna. All’improvviso egli si alzò, andò diritto verso la regina, che aveva un’aria triste e il capo chino, e la schiaffeggiò chiamandola “pakora” (piatto indiano farcito).

I presenti erano costernati e pensarono che Ramakrishna fosse diventato matto, che l’influenza della Luna piena gli avesse danneggiato la mente. Allora, il santo si avvicinò agli astanti e disse: “Miei cari amici, voi pensate che io abbia commesso un grave errore schiaffeggiando la regina; ma siete venuti qui con il preciso intento di ascoltare i miei insegnamenti. Che voi, in seguito, li pratichiate o no, bisognerebbe almeno cominciare col prestar loro la vostra attenzione. Se voi non ascoltate, a che scopo restate qui? Fareste meglio a ritornare a casa vostra. La qui presente regina Rasamani non ha fatto altro che pensare ai suoi affari di governo, qui, di fronte a me. Perché dovrebbe pensarci adesso? Se qualcuno non è deciso ad ascoltare i miei insegnamenti, non dovrebbe essere ammesso a sedersi in questo tempio. La regina Rasamani dovrebbe rappresentare, per ciascuno, un esempio da seguire, ma essa si smarrisce sul sentiero dell’errore. Io non amo ciò per niente”.

La regina si alzò e si avvicinò umilmente a Ramakrishna, dicendo: “Mio amato Maestro, ho commesso un errore. Ero intenta a pensare a tutti i miei problemi di governo. Non ho mai agito così prima. Perdonami per quest’errore!”

Ai nostri giorni, sono numerosi quelli che assistono a discorsi spirituali e a conferenze. Ascoltano e si meravigliano dei bei racconti che sentono, ma non fanno assolutamente nulla per metterli in pratica. Bisogna mangiare, assimilare, ciò che si ascolta. Bisogna applicarlo nel concreto dell’esistenza. Se voi non assimilate e non rifate ciò che inghiottite, soffrirete presto di stitichezza.

Ciò fu spiegato molto chiaramente da Vâlmîki nel Râmayâna. Râma e Râvana si equivalevano in fatto di conoscenza, ma Râma ne mise in pratica ogni virgola. Rispettò in ogni punto la verità in pensieri, parole e azioni, aderendo completamente al sentiero della verità. È per questo che Vâlmîki descrisse Râma come un uomo esemplare per tutta la razza umana.

Al contrario, Râvana, nell’opera di Vâlmîki, è definito folle. Le sue conoscenze non venivano assimilate e, quindi, soffriva d’indigestione. Egli prese il sentiero della menzogna.

L’uomo colto è colui che mette in pratica ciò che conosce. La pratica è il valore più grande di tutta l’istruzione. La vostra istruzione dovrebbe favorire in voi un sentimento d’umiltà. Voi sapete bene in quale deplorevole stato si trovi la società moderna. Dappertutto ci sono turbamenti e agitazioni.

Voi tutti, studenti qui presenti, dovreste inserirvi nella società e far sì che ciascuno aderisca alla Verità e alla Rettitudine. Dovreste diventare cittadini ideali. È questo che Io desidero e che Mi aspetto da parte vostra. Non vi domando assolutamente nient’altro. Mettete in pratica ciò che avete appreso; siate esempi per il mondo.

Adoperatevi per la felicità di tutti.

Non respingete nessuno; non abbiate alcuna antipatia. Coltivate in voi tutte le buone qualità e le virtù. L’uomo odierno si impegna con decisione nella direzione sbagliata, ma non è pronto ad affrontare le conseguenze delle sue azioni; pretende di avere dei meriti, ma non alza il dito mignolo per compiere azioni meritorie. È sempre disposto ad agire in modo scorretto, ma rifiuta gli effetti delle sue azioni.

Perché non fate ciò che volete fare? Fate il bene, siate felici e dividete la vostra gioia con tutti: il vostro dovere è questo e con il cuore pieno di sentimenti sacri, contemplando i Piedi di loto del Signore, i vostri pensieri si purificheranno naturalmente, senza alcuno sforzo.

Le gopika (pastorelle) provavano un amore ardente per Krishna, ma ogni giorno Egli entrava nelle loro abitazioni per rubare le loro riserve di burro. Esse non sapevano come farLo cadere in trappola. Un giorno, andarono a lamentarsi da Yashodâ e le dissero: “Madre Yashodâ, tuo figlio semina scompiglio nelle nostre case! Le nostre suocere ci accusano di fare sparire tutto il burro. Le marachelle di tuo figlio ci mettono in difficoltà nelle nostre famiglie”.

Yashodâ aveva notato gli stratagemmi di Krishna; Lo fermò e Gli disse: “Io sento il tuo alito pieno di profumo di burro. Tu non sei più alto di tre mele e già crei tanti problemi nel villaggio! Perché tutte queste birichinate? Perché Ti introduci nelle case delle gopika?”

Un giorno, Uddhava descrisse così la devozione delle gopika per Krishna:

(Swami canta:)

Anche se le loro suocere erano contrariate
e i loro mariti erano pieni di collera verso Krishna,
le gopika non aprirono mai la bocca per replicare.
Esse sopportavano tutto con pazienza.
Non avevano paura di niente e di nessuno.
Krishna era saldamente installato nel loro cuore,
come una fotografia è impressa sulla carta.

È del tutto impossibile separare la fotografia dalla carta sulla quale è impressa. La forma di Krishna era impressa nel cuore delle pastorelle; esse non avevano altro pensiero che quello di Krishna. Uddhava aggiunse: “Voi volevate dar loro una lezione, ma, invece, sono loro ad avervi insegnato qualche cosa”.

Un giorno, le gopika si presentarono alla casa di Krishna. Egli faceva finta di dormire e russava pure. Provarono a svegliarLo stringendoGli i piedi, ma Egli si girò semplicemente sull’altro fianco e continuò a russare. Allora esse cantarono teneramente intorno a Lui:

(Swami canta:)

Si può svegliare qualcuno che dorme profondamente
scuotendolo dalla testa ai piedi.
Ma, chi potrà mai svegliare colui che fa finta di dormire?
È assolutamente impossibile! Krishna, Tu non stai dormendo.
Semmai Tu dormissi, il mondo intero sarebbe in pralaya (dissoluzione).
Conosciamo il Tuo segreto, sappiamo la Verità.
Noi non siamo pronte a lasciarci confondere dalle apparenze.

Le gopika conoscevano la Verità; erano in grado di scoprire il principio di Krishna in ogni cosa. Esse aggiunsero:

(Swami canta:)

A questo mondo, chi è in grado di comprendere il Tuo mistero?
Krishna, possiamo conoscerTi?
Tu sei più piccolo dell’atomo e più grande dell’immensità.
Tu dimori nelle 8.400.000 specie viventi nel pianeta.
Tu sei onnipresente. Chi comprenderà mai il Tuo mistero? È impossibile!
Smetti di tormentarci con i Tuoi giochi infantili. Rendici felici.
Lasciaci sperimentare la totalità della beatitudine
nell’unione dei nostri cuori con Te. Noi non possiamo separaci da Te.
Non è gentile, da parte Tua, mettere continuamente alla prova
la nostra fede in Te.

Krishna aveva promesso alle gopika di rivelar loro la Verità. Anche a Râdhâ fece una promessa particolare. Prima di lasciare definitivamente il suo corpo mortale, Râdhâ era, un giorno, seduta sulla riva del fiume Yamunâ e si sentiva triste di non poter vedere il suo Krishna. Si sentiva sul punto di morire e pregò intensamente Krishna di andare a donarle il Suo divino darshan. Ella si mise a cantare soavemente

(Swami canta:)

O mio Krishna adorato, canta per me la Tua dolce melodia
e colma il mio cuore di gioia.
Distilla l’essenza dei Veda e fa’ che si diffonda
attraverso la musica eterna del Tuo flauto.

Mentre cantava così, Krishna le apparve e soddisfò il suo desiderio suonando un’aria melodiosa con il Suo flauto divino. Râdhâ ascoltò intensamente la melodia e tutto il suo essere ne fu pervaso. Poi, esalò l’ultimo respiro. La fiamma della sua vita si immerse in Krishna. Da quel momento, Krishna mise il Suo flauto da parte e non lo toccò mai più. Era la promessa che aveva fatto a Râdhâ.

Ogni Incarnazione divina sostiene il principio della Verità. Gli uomini possono dimenticarlo, ma Dio non lo dimenticherà mai. La vera natura della Verità sarà sempre mantenuta. Alcuni testi possono far credere che Krishna ebbe ancora il flauto alle labbra dopo la morte di Râdhâ, ma ciò non è esatto. Krishna rispettò la Sua promessa e non suonò più nessun’aria con il Suo flauto dopo la scomparsa del corpo di Râdhâ.

Si considera Râdhâ come una donna ordinaria e si deforma la visione della realtà. Râdhâ non aveva assolutamente alcun attaccamento per il corpo; non era attaccata che a Krishna. Il nome Râdhâ, anagrammato, fa dharâ, la natura. Questa natura è âdhâra, la base o il fondamento della creazione.

Nello nome stesso di Râdhâ, si trovano le lettere R, a, dh, a.

- R = Râdhâ, fede solida;
- A = âdhâra, il fondamento;
- DH = dhâra, la natura;
- A = ârâdana, l’intensa e costante preghiera a Dio.

Ecco ciò che contiene il nome Râdhâ. Anche dormendo, ella cantava il Nome di Krishna. Questi aspetti hanno costituito il fondamento di questo sacro paese dell’India, il paese della devozione e del culto dei Piedi divini. Krishna riusciva sempre a sparire dopo aver compiuto qualche marachella nelle abitazioni delle gopika. Così, un bel giorno, esse si riunirono e decisero di intrappolarLo, attendendo il momento propizio.

Krishna lo sapeva ed elaborò un piano per Suo conto. Conosceva bene i loro pensieri e volle lasciare un segno con il quale le gopika potessero seguire le Sue tracce. Si introdusse in una casa e ruppe un contenitore di latte. Poi si bagnò i piedi col liquido fuoriuscito e corse via. Le gopika arrivarono sul posto, ma Krishna riuscì a fuggire in un baleno. Allora esse si misero a seguire le tracce dei Suoi passi sul terreno e giunsero al Suo nascondiglio.

Per piacere a Dio, dovreste seguire le tracce dei Suoi passi.

Quelli che si sottomettono ai Piedi di Loto del Signore non commetteranno errori e saranno liberi da ogni sofferenza. La devozione ai Piedi divini è veramente sacra. Krishna insegnò questa verità spirituale, secondo la quale la grazia divina può essere conquistata quando ci si attacca saldamente ai Piedi di Loto del Signore.

Ieri, il dottor Gadhia ha detto che la pratica dell’adorazione dei Piedi divini ha, come effetto, di assicurarvi un buon matrimonio e garantirvi la nascita di figli. Tutto ciò non è che desiderio mondano. Voi non vi sottometterete ai Piedi del Signore per questi effimeri scopi, non è vero? Il vostro scopo è ben più grandioso: è la relazione atmica, il sentiero interiore.

Poiché potete ottenere così grandi benefici, perché dovreste preoccuparvi di piccoli obiettivi momentanei? Allo stesso modo, non vi accontenterete dei ciottoli del sentiero quando potete mirare alla conquista di tutto il monte Meru!

Un giorno, Jaya e Vijaya, i due guardiani della porta del paradiso, si avvicinarono a Vishnu e Gli domandarono: “Swami, perché hai creato questa montagna d’oro, il monte Meru?” Vishnu rispose: “Colui che è senza desiderio non si accorgerà nemmeno della sua esistenza. Ma, colui che è pieno di avidità non si accontenterà di cento montagne d’oro che potrebbero essergli donate. Chi è l’uomo più ricco a questo mondo? L’uomo più ricco è chi sa accontentarsi di ciò che ha. E chi è l’uomo più povero? L’uomo più povero è colui i cui desideri sono senza limiti. Così, Io ho creato questo monte Meru, questa montagna d’oro, per rendervi senza desideri”.

Dio non ha alcun desiderio. La Sua sola idea fissa sono i Suoi devoti: infatti, Dio pensa incessantemente ai Suoi devoti perché diventino buoni, aiutino la società a progredire, abbiano a cuore il benessere di tutti. Non lasciatevi trasportare dal turbine dell’egoismo e dell’interesse personale. Non perdete il vostro tempo per fini egoistici; siate magnanimi, abbiate una mente ampia come l’oceano.

Se la vostra sottomissione a Dio è fatta con mente ristretta, che razza di sottomissione sarà? Non alimentate i desideri fisici del mondo evanescente, ma fate in modo che tutto ciò che pensate sia sempre elevato, puro, grande. Servite la società e lavorate per il suo progresso. Fate vostro il desiderio di vedere il mondo intero nella gioia. Ecco il buon atteggiamento da adottare.

I devoti non mancano di numero; ma allora, perché nel paese ci sono ancora tante difficoltà? Perché la devozione non è sul tono giusto. La vostra sottomissione dovrebbe essere totale. Voi praticate archanam, riti d’adorazione, ma dovreste abbandonarvi totalmente a Dio (arpitam). La sottomissione è molto più grande dell’adorazione rituale. Quando la vostra sottomissione sarà autentica, Dio e voi sarete una cosa sola. Il fine della spiritualità risiede nell’unificazione dell’individuo con la Divinità.

Studenti, dovreste avere costantemente a mente il benessere e il progresso della società e del mondo. Non pensate alla vostra educazione scolastica in termini di impiego che, grazie ad essa, potrete ottenere. Domandatevi costantemente: “Come, in quale modo, posso rendere servizio alla società? Che cosa si aspetta da me la società?”

Allora, sarete uomini emancipati. Potrete lavorare per il progresso generale ed anche la vostra famiglia ne beneficerà. Dovreste unire tutte le vostre forze per emancipare il paese. Perché studiate? Tutti i vostri studi dovrebbero essere orientati verso il progresso di questa nazione e del mondo. Gli studenti moderni dimenticano completamente il vero scopo della loro istruzione. Essi studiano la matematica, ma non conoscono le dimensioni della loro stessa casa. Fanno quotidianamente ginnastica, ma non sanno mettersi in padmâsana, la posizione del loto. Tutto ciò che studiate deve essere messo in pratica nella vostra vita quotidiana.

Incarnazioni dell’Amore Divino, questi quattro giorni di incontro, in occasione delle celebrazioni dei Paduka, sono passati in un baleno. Ciò che dovete imparare e dividere con gli altri è il senso della disciplina. Molte persone sono venute qui da numerosi paesi diversi. L’anno passato, i Cinesi sono anch’essi venuti qui per celebrare il loro nuovo anno. Un gruppo enorme di devoti, tempo fa, venne qui dall’Andhra Pradesh allo scopo di fare una processione per l’adorazione dei Paduka.

Ma, c’è una cosa che Mi è piaciuta particolarmente in questo attuale programma dei Paduka: si tratta del fatto che gli organizzatori di Madurai sono stati capaci di imporre una grande disciplina a tutta l’assemblea dei convenuti. Si può anche dire che la loro disciplina è stata esemplare.

Subrahmanyam Chettiar (l’organizzatore) è molto vecchio e, malgrado ciò, tutti hanno seguito scrupolosamente le sue direttive. Ognuno ha rispettato la disciplina di sua iniziativa. Mantenete questa disciplina in tutte le cose della vostra esistenza. Il consorzio dei paduka di Madurai aderisce al principio della disciplina. I tre maggiori princìpi che qualificano l’Organizzazione Sathya Sai sono:

Devozione - Dovere - Disciplina

Perseguite sinceramente queste tre “D”. Vi procureranno una felicità permanente. Fate il vostro dovere; badate che la vostra devozione sia costante e osservate l’autodisciplina. Fate che questa cultura, queste tradizioni, questi sacri riti, siano trasmessi ai vostri discendenti. Non fateli morire per nessun motivo. Possano essi restare in vita per l’eternità.

In nessuna circostanza, abbandonate mai la pratica della ripetizione del Nome Divino. In particolare, dovreste coltivare i tre tradizionali princìpi:

- il timore del peccato;
- l’amore per Dio;
- la moralità nella società.

Fate in modo che la vostra esistenza sia santificata, sia esemplare e vi conduca all’esperienza del Principio atmico.

(Swami conclude il Suo Discorso cantando: Hari bhajana binâ sukha shânti nahi).

Prashânti Nilayam, 12 ottobre 1998 Versione integrale

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